venerdì 27 luglio 2007

Sergio Romano: Stato e globalizzazione



Pierre Chiartano intervista Sergio Romano: da Stiglitz a Fukuyama, il concetto di Stato e globalizzazione. Da questi temi è stato tratto un paragrafo del libro «La difesa dell'Occidente» (ed. Liberal) con prefazione di Renzo Foa

Abbiamo voluto chiedere un parere a Sergio Romano, uno dei più acuti analisti di politica internazionale dalla vasta esperienza diplomatica, professore, editorialista ed autore infaticabile di decine di pubblicazioni sulla storia del nostro Paese e del rapporto dell’Italia con il resto del mondo.

Ha ragione Fukuyama quando afferma che sia stato messo l’accento in modo acritico sull’abbandono del ruolo dello Stato come stava prendendo forma all’interno delle forti dinamiche della globalizzazione. Alla riduzione di ambiti andava affiancata una maggiore incisività del ruolo?

Ho l’impressione che vi sia stata, negli anni Novanta, una moda, una tendenza ideologica, un’ortodossia che proclamava il progressivo declino dello Stato a favore della spontaneità organizzativa della società, del mercato, dell’economia. Come tutte le tendenze, come tutte le mode possono anche dare risultati positivi, creano il clima adatto a certe riforme che sono necessarie e che vengono così meglio realizzate. Attenzione però, che quella tendenza ideologica non è stata mai pienamente realizzata. Non è vero che lo Stato abbia smesso di esercitare le sue funzioni semplicemente perchè un numero crescente di intellettuali e ideologi ne proclamava il declino. Lo Stato ha continuato ad esercitare le sue funzioni e mentre da un lato deregolamentava, così come ci avevano suggerito di fare la signora Thatcher e il presidente Reagan, dall’altro non passava giorno senza che introducesse nuovi regolamenti. Non dimentichiamo che il Mercato unico europeo, uno dei risultati più positivi di questa tendenza prevalente, è stato attuato a colpi di norme, di direttive, di leggi perchè altrimenti non sarebbe mai stato realizzato. Occorre quindi sempre fare una distinzione fra le idee prevalenti, in un certo periodo della storia, interessanti e che possono avere anche ricadute positive, e la realtà che è tutta un’altra cosa. È vero ciò che afferma Fukuyama, cioè che quella tendenza a considerare lo Stato come un carciofo a cui bisognava togliere una foglia alla volta, oggi sia meno proclamata e sentita come vera. Troviamo meno gente che affermi «meno Stato, più società», forse perchè il pendolo sta oscillando dall’altra parte. Rispetto a queste tendenze ideologiche occorre manifestare un certo distacco perchè tendenzialmente non sovvertono mai la situazione preesistente.

Anche la crisi e la stagnazione economica aumentano l’incertezza e la necessità di sentirsi tutelati

Certamente, perchè queste tendenze vengono influenzate dagli stati d’animo, dalle psicologie delle società in un determinato momento. Il fatto che per le economie occidentali le cose non siano andate molto bene negli ultimi anni, ha avuto l’effetto di rivalutare la funzione dello Stato.

Ma nella percezione dei cittadini con la scomparsa di un processo identificativo consolidato come quello di nazione, temperato dai valori della democrazia, è venuto a mancare qualcosa di immateriale o sono le necessità economiche a dominare?

Indubbiamente nel momento in cui la situazione economica non è positiva ed il mercato non produce automaticamente il benessere che invece si era pensato fosse capace di produrre i cittadini si ripiegano su se stessi sulle istituzioni con cui hanno maggiore dimestichezza e familiarità, pensando di avere qualche vantaggio.

È un’immagine riproducibile per tutti gli Stati europei?

I singoli Stati dell’Unione europea, anche quelli sono stati, in qualche modo, rivalutati nelle loro funzioni durante gli anni. Perché in una situazione economica non buona, in una fase in cui la modernizzazione minaccia i privilegi, le condizioni sociali di un certo numero di gruppi, ciascuno si ripiega su ciò che lo ha maggiormente garantito in passato. È ciò che è accaduto all’interno della Ue con la rinazionalizzazione, nei limiti del possibile, delle politiche economiche. Non credo però che sia una tendenza destinata a durare nel tempo, se guardo con distacco storico vedo che gli Stati europei, a parte queste oscillazioni del pendolo, continuano a perdere sovranità che rimane la grande tendenza di carattere storico. Il carattere nazionale dello stato è un processo che ha avuto il suo massimo fulgore fra il 1848 ed il 1918, non è iscritto nelle tavole della legge della storia universale.

Stiglitz nella sua analisi, in buona sostanza, afferma che i modelli economici dovrebbero essere flessibili rispetto al genius loci dei Paesi su cui vanno ad incidere. Meno grafici e parametri e maggiore mediazione culturale?

Stiglitz è una persona molto fine e intelligente. Credo che questa sia la constatazione di quanto certe ideologie del mercato come supremo regolatore delle fortune umane forse erano destinate a scontrarsi, nel tempo, con situazioni che non ne confermavano la validità. La mondializzazione, che è un fenomeno di lunga durata e che, di per sè, è un fenomeno positivo, ha messo in discussione la prosperità di alcuni gruppi sociali che, bene o male, all’interno dello Stato nazionale erano riusciti a vivere. In altre parole i tessili italiani soffrono e, naturalmente, chiedono allo Stato di essere aiutati perchè vedono la loro sorte messa a repentaglio. Questo porta a mettere in essere delle misure che ritardino questo declino di alcuni gruppi sociali. In tutte le società europee c’è una certa paura della modernizzazione e della mondializzazione, fa parte degli alti e bassi della vita di una nazione.
C’è chi ne approfitta e cavalca con coraggio la modernizzazione e c’è chi non lo fa. Alla fine chi deve scomparire, scompare.

Arriviamo al problema Cina, un gigante che qualcuno vede già come protagonista di una nuova competizione bipolare con l’Occidente a guida americana. Sviluppare una middle class per forzare la mano al partito comunista cinese, verso un percorso di riforme, non sembra dare i risultati sperati. Tenendo conto della complessità della situazione qual’è la chiave di lettura dell’Impero di Mezzo per i prossimi anni?

Il problema della Cina è che sta crescendo molto dinamicamente, in condizioni di sottosviluppo sociale, questo le permette di conquistare il mercato con prodotti in competizione con molte industrie europee. Benissimo, però contemporaneamente la Cina diventa, a sua volta, un mercato. Se lei è italiano e non può vendere aerei alla Cina, sentirà molto la crisi dei tessili, ma se lei è tedesco o francese e può vendere aerei a Pechino non sentirà questa crisi. È un problema nostro, non della Cina. Noi ci siamo in qualche modo impigriti negli ultimi vent’anni, abbandonando le industrie che ci avrebbero aiutato a cogliere le occasione che il mercato cinese ci offre. Siamo sul versante dei perdenti. Altri Paesi sono contemporaneamente perdenti per certi settori e vincenti per altri.Sul problema dello sviluppo della democrazia il Paese rappresenta un modello del tutto inedito. Non era mai accaduto nel mondo che un sistema autoritario, totalitario almeno nominalmente, con un partito unico ed un forte controllo sulla società sul piano ideologico, fosse stato capace di liberare le grandi energie economiche del Paese con tassi di sviluppo che tutti conosciamo. In generale eravamo stati educati a pensare che, nel momento in cui si formano dei ceti economici dinamici che si rafforzano e si sviluppano, si creano le condizioni per la democrazia. Perché ad un certo punto, questi ceti vorranno influire sul quadro legislativo, chiederanno garanzie e maggiore autorità. Abbiamo sempre pensato che questo sistema cinese non fosse destinato a durare indefinitamente, perchè contiene al suo interno una incompatibilità fra l’autorità e la rigidità del sistema politico e la straordinaria flessibilità del sistema economico. Io continuo a pensare che sia così, che non possa durare all’infinito. Però quello che conta in politica è la previsione, potrei avere anche ragione ma se l’avessi fra cinquant’anni che senso avrebbe?

Pessimista?

Non sono né pessimista né ottimista. Se chi sta facendo affari con la Cina dovesse dar retta a coloro che fanno queste considerazioni, commetterebbe un errore, perchè intanto potrebbe sviluppare ottimi affari, e se il sistema reggesse per altri dieci anni avrebbe anche ammortizzato l’investimento. Il sistema non dovrebbe essere destinato a durare perchè ha una contraddizione, ma questo lo diciamo noi soltanto perchè non abbiamo assistito a nulla di simile nella storia. E se questa fosse la prima volta?

Nessun commento: