venerdì 20 luglio 2007

Licenza d'uccidere



Vladimir Putin definisce «mini-crisi» la lotta fra spioni scatenata con Londra. Abbassa i toni, forse pagando pegno ai buoni rapporti con Bush. Nell’amministrazione americana c’è chi sconti non ne fa al nuovo zar del Cremlino e non è mai andata tanto per il sottile durante i viaggi in Russia. La regola della legge che va rispettata ovunque anche nella sconfinata Russia dispersa fra Occidente ed Oriente, dove la gente ama Putin ed il suo modo spregiudicato di fare politica. La crisi nasce dall’affaire Litvinenko, un’intera sezione dell’Fsb incaricata per la sicurezza interna, che si ribella ad ordini che considera «infami». Esecuzioni politiche ed implicazioni negli attentati «ceceni» a Mosca, più qualche altra cosuccia che riguarda zar Vladimir. Molto interessante a questo proposito il documentario di Nekrasov con lunghe interviste a Litvinenko e video confessioni di agenti dell’Fsb. Nel libro «La difesa dell’Occidente» (Edizioni Liberal) di Pierre Chiartano con prefazione di Renzo Foa, si possono leggere diversi paragrafi dedicati alla politica del segretario di Stato Rice in Russia. Ne esce uno spaccato dei rapporti fra Occidente e Mosca che già faceva presagire la crisi che stiamo vivendo in queste settimane: «La guerra agli oligarchi che qualcuno chiama “decolonizzazione” è assomigliata più ad una pulizia interna degli amici degli americani, che avrebbero voluto introdurre concorrenza e meritocrazia piuttosto che un’operazione di trasparenza di potere. I cosiddetti oligarchi sarebbero stati un contropotere che avrebbe fatto da sponda interna a quella “spocchiosa” della Rice, che pretendeva di dettare le regole della democrazia. A Putin, che ben incarna la trinità imperatore-stato-popolo, è sembrato uno scenario da cancellare. Insomma l’ex uomo del Kgb ha voluto togliersi dai piedi chiunque potesse ostacolarlo nel suo progetto per una nuova Russia, da realizzare con i metodi zaristi, naturalmente. Boris Berezosvkij esiliato a Londra si lecca le ferite e piange i suoi morti, così come Vladimir Gusinskij, entrambi fortunatissimi rispetto a Mikhail Khodorkoskij, internato in Siberia. Per gli altri la vendetta è stata servita con una mano tesa, che quasi nessuno a rifiutato. Oggi le vicende Politoskaja e Litvynenko riaccendono l’interesse dell’Europa verso un vicino che da derelitto del dopo muro, grazie all’oro nero e al gas, sta vivendo un‘età dell’oro, che ne ha riacceso progetti e mire. Cecenia, Georgia e Ucraina sono nella lista nera dell’agenda Putin, con un’Europa tiepida ad interferire, per paura che la bolletta del gas russo possa levitare o i rubinetti chiudersi. Putin vede la Nato come «l’America vestita d’Occidente», e si destreggia con Pechino aiutando la Cina a fare da argine al potere americano in Asia centrale. Vuole però evitare di fare il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro Usa e Cina. Un gioco complesso di partnership economica e conflitto geopolitico, quello fra Washington e Pechino, che il «mandarino» di San Pietroburgo cercherà di sfruttare fino all’ultimo a suo favore. L’antico pendolo fra democrazia d’Atene e satrapie orientali si ripropone in salsa russa. Dove al modello di aperture di mercato del Partito comunista cinese diventato imprenditore-padrone, si contrappone la democrazia di quei rompiscatole d’oltre Atlantico, che non sanno di cose orientali, di quanto la gente sia abituata a piegare la testa - rimpiangono Stalin e Breznev, stando a recenti sondaggi - a guardare cinicamente al proprio interesse, e abbia bisogno di essere governata con polso fermo. Le circa 18mila testate atomiche stoccate chissà in quale maniera, sembrano essere diventate più un problema che l’arma residua del potere che fu, rispetto alle materie prime di cui la Russia è ricchissima, armi politiche ben più moderne ed affilate. La Germania di Schroeder guardava a Mosca per salpare con l’Europa verso Est, la Merkel è più saldamente ancorata al Nord Atlantico, ma fa quello che può, vincolata dalla politica del day by day che ha fame di soldi, energia e consenso per tenere in piedi una Grosse Koalition un po’ traballante. Così la Russia torna ad essere una issue al dipartimento di Stato e le proxy war del Medio Oriente, e non solo, acquistano una valenza da scontro globale per l’assestamento di un nuovo balance of power». (il libro o puoi acquistare on-line su Internet Book Shop, oppure consultare l’elenco delle librerie su http://difesadelloccidente.blogspot.com).
Condoleezza Rice, ieri, da Lisbona, è tornata all’attacco con un affondo a Putin riguardo al caso Litvinenko: «La Russia deve onorare la domanda d’estradizione e dovrebbe cooperare in pieno con le autorità britanniche». Il riferimento all’estradizione riguarda uno dei principali sospettati dell’omicidio Litvinenko cioè l’ex agente Andrei Luguvoi che in realtà, secondo indiscrezioni, sarebbe stato il sicario di scorta al bar del Millennium, in caso il primo tentativo d’avvelenamento fosse fallito. Litvinenko quando arrivò a quel incontro nel centro della city sarebbe già stato avvelenato dal polonio. Sullo sfondo c’è la politica, con l’allontanamento di Putin dall’Occidente, l’abbandono dei trattati Cfe e l’ostracismo contro lo scudo anti-missile, unica difesa dell’Europa contro un’eventuale minaccia Iraniana. Ora il giovane capo del Foreign Office, David Milliband, incassa l’appoggio di Washington e le critiche Di Vladimir Cizhov rappresentante russo in seno alla Ue. Putin minimizza e forse ha ragione, ben sapendo che le vere preoccupazioni di Washington sono molto più a Oriente.

2 commenti:

Chris ha detto...

C'è tanto del vero in quello che dici. Ho affrontato queste temtiche nel mio post dove cerco di spiegare perchè Putin ha detto di no a Bush riguardo allo scudo spaziale, un piccolo tassello che rientra anche in questo. Mi piacerebbe un tuo commento al riguardo.

http://ilrumoredeimieiventi.blogspot.com/2007/07/perche-putin-dice-di-no-bush.html

Pierre Chiartano ha detto...

@ Chris. Ti leggo subito... : )