mercoledì 12 dicembre 2012

Tunisian Gospel for salafists

by Pierre Chiartano.Tunis. Bardo is a popoular district of downtown Tunis. It is the heart of activities for tunisians, there are government buildings and the foreigners posh neighborhoods are far from, northbound where you can breath every morning the salty air of Mediterranenan sea. La Marsa is a place of nice hotels and luxury villas. It is also the place where start our story about Tunisia, his new government, the outcomes of “Arab Spring”, Ennahda, french guys and the salafist... READ THE REPORTAGE AND MORE AT http://reporternote.wordpress.com 



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Obama's syrian troubles

«L'infaticabile Hillary» come il presidente Usa, Barack Obama chiama il segretario di Stato, Hillary Clinton, è di nuovo al lavoro. Gli Stati Uniti ci riprovano da est a sistemare il caos siriano. E Obama starà sicuramente riflettendo su certe mal calcolate conseguenze della nuova dottrina Usa «via dal Medioriente, andiamo in Asia». Novità che ha dato la stura alle ambizioni, a lungo tenute a freno di Londra e Parigi: abbiamo visto finora con quali conseguenze per Magherb e Meshraq.Gli Usa hanno proposto alla Russia un piano di soluzione per il conflitto siriano, che prevede la creazione in tempi brevi di un governo di transizione a cui potranno partecipare anche i sostenitori dell'attuale regime, ma non Bashar al Assad. E malgrado Mosca «condivida le preoccupazioni americane» sul crescente pericolo di un conflitto inter-religioso e sull'utilizzo, a un certo punto, di armi chimiche, non c'è ancora accordo sul destino del Leone "sanguinario" di Damasco. La Nato intanto ha schierato i missili anti-missile Patriot sul confine turco, tanto per stare tranquilli. Contro ogni evenienza, ad esempio che qualche reparto dell'esercito del regime, magari a maggioranza drusa, persa ogni speranza - i sunniti non avrebbero pietà per loro - non decida di utilizzare gas sarin o altre diavolerie del genere. È il cosiddetto «passo indietro» del presidente siriano che vede gli Usa e Mosca scontrarsi.

mercoledì 4 luglio 2012

La Nato frena la rabbia di Erdogan


Con l’abbattimento del Phantom F4 turco da ricognizione, la crisi siriana ha scaraventato il governo di Erdogan sul selciato di una vera e pericolosissima crisi internazionale, spingendolo a trovare in fretta un accordo con i militari. Dal Golfo del Tonchino a Serajevo, la storia è piena di “incidenti” fatali per la pace internazionale. Speriamo di non aver assistito all’ennesimo della serie. Intanto gli stati membri della Nato ieri hanno condannato la Siria per l’abbattimento di un jet militare turco, definendolo «inaccettabile» e chiedendo a Damasco di prendere accorgimenti per prevenire ulteriori incidenti. Ma al di là delle frasi di rito, non si parla di intervento a difesa di uno stato membro dell’Alleanza. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha spiegato che l’articolo 5 della Nato, che chiede agli stati membri di considerare l’attacco a un paese come l’attacco a tutti i membri dell’alleanza, non è stato discusso. «Siamo con la Turchia in spirito di solidarietà», ha aggiunto. Bocce ferme per il momento dunque. E torniamo a Erdogan che si sentiva sugli allori di una fama, conquistata presso le folle mediorientali sull’onda della vicenda Mavi Marmara, e sul successo di una politica estera «zero problems, maximum trade» che ne faceva il modello vincente grazie anche a gli ingenti investimenti fatti lungo tutta la corniche meridionale del Mediterraneo, non ultima la Libia. Mettendo la Turchia in competizione con le ultime velleità postcoloniali di qualche paese europeo, e in sintonia col change politico in atto in molte società arabe. L’asse sotterraneo Akp-Fratelli musulmani ha prodotto dei risultati, Erdogan però patisce ancora per molte insicurezze in politica estera. Ma i problemi del premier musulmano di Ankara si sono rivelati più interni che legati ai rapporti esterni, ad esempio con Israele, verso cui nonostante le forti tensioni politiche con il governo Netanyahu, prevale un atteggiamento di non ostilità. Lo scontro frontale con le forze armate messe sotto lo schiaffo della magistratura con l’affaire Ergenekon e con il filone Bayoz (Sladgehammer) – quella che i media locali amano chiamare la Gladio turca ma che è ben altra cosa – sta volgendo al termine. Al premier turco servono i militari per affrontare i difficili frangenti della crisi siriana e non solo.

Rassegna Stampa in Turchia - SonDevir 13 giugno 2012

                                                                   
Erdoğan orduyla barışmaya çalışıyor
İtalyan Risk Dergisi Baş Editörü Pierre Chiartano, özel yetkili mahkemelerin (ÖYM) kaldırılması tartışmalarını, "Başbakan Recep Tayyip Erdoğan'ın orduyla barışma çabası" olarak değerlendirdi.
Türkiye'deki özel yetkili mahkemeleri kaldırma tartışmaları, gözleri geçmişte benzer bir tecrübe yaşayan İtalya'ya çevirdi. İtalya, Gladyo'yu özel yetkili savcılar eliyle çökerteli yaklaşık 20 yıl oldu. 6 yıl boyunca devam eden soruşturma parlamentoya kadar uzandı; bir eski başbakan ve 4 bakan mahkum oldu; savcı, dönemin cumhurbaşkanıyla örgüt arasında da bağlantı tespit etti. Gladyo'nun çökertilmesine rağmen İtalya'da savcılar hâlâ aynı yetkilerle görevlerini yapmaya devam ediyor. Avrupa genelinde de savcıların özel yetkilerinin kaldırılması gündemde değil. İtalya'da yayınlanan Risk Dergisi Baş Editörü Pierre Chiartano, Türkiye'deki gelişmeleri yakından izleyen bir isim. İtalya'da o dönemde yaşananları çok iyi bilen isimlerden olan Chiartano, özel yetkili birimlerin örgütlü suçlarla mücadele için şart olduğunu söyledi."Türkiye geçmişi ile yüzleşiyor. Bunu takip ediyoruz. Örgütlü suçlarla mücadele için özel birimlerin olması gerekiyor. Bu, olmazsa olmaz bir durum." diyen İtalyan gazeteci özel yetkili mahkemelerin kaldırılma tartışmalarını ise Başbakan Erdoğan'ın orduyla barışma çabası olarak değerlendirdi.İnternet ortamına düşmüş ses kayıtlarını yayınlayan gazetecilere hapis cezası verilmesi tartışmalarına da değinen İtalyan gazeteci, bunun kabul edilmeyeceğini söyledi. "Gazeteci eline ne gelirse yayınlayabilmeli." diyen Chiartano, İtalya'da böyle bir yasağın olmadığını ifade etti.

http://www.sondevir.com/disbasindaturkiye/76028/erdogan-orduyla-barismaya-calisiyor.html 

giovedì 29 marzo 2012

Dine out with John R. Allen

L’atmosfera è quella rarefatta delle grandi occasioni, ma informale abbastanza per far sentire tutti a proprio agio. Siamo a Bruxelles in una zona non lontana dal comando Nato e dall’aeroporto. Al secondo piano di un ristorante elegante c’è un piccolo convegno di giornalisti, militari e diplomatici. Il tema è l’Afghanistan in modalità off the record. Significa che chi scrive non può mettere virgolettati e che ogni argomento sarà una libera interpretazione di ciò che è stato detto tra l’antipasto e il dolce. I diplomatici sono due vice del segretario generale Anders Fogh Rasmussen, responsabili per l’Afghanistan e la public diplomacy, il militare in abiti civili è il generale John R. Allen, comandante in capo di Isaf, la missione militare nel paese centrasiatico che dovrebbe concludersi nel 2014. Ha un attendente, un maggiore dei Marines che mi racconta quanto siano dure le prime due settimane di addestramento a Quantico. Sembra la controfigura di Obama ed è un campione di tatto e diplomazia. I media sono ben rappresentati da esperti e vertici del Times, Figaro, Le Monde e la tv pubblica nipponica Nhk. Naturalmente era già scoppiata la piccola mina mediatica delle dichiarazioni di Leon Panetta, segretario alla Difesa Usa che durante il volo verso la capitale belga aveva anticipato le mosse del ritiro e del cessate il fuoco, creando qualche imbarazzo a Rasmussen il giorno dopo. Ma dobbiamo ammettere che a parte qualche sottolineatura della stampa, la questione era puramente formale. Il presidente Barack Obama, ancora una volta, ha voluto mantenere una promessa fatta in campagna elettorale: via dall’Iraq, via dall’Afghanistan as soon as possible (prima possibile). L’interesse americano è ora assorbito dal confronto con la Cina e dallo scenario Pacifico. Ciò che invece è assai interessante è l’analisi che ne scaturisce dell’intervento in Afghanistan, «una guerra inutile e costosa» secondo l’esperto americano e consulente del Pentagono, Edward Luttwak. Le operazioni militari stanno funzionando. Taliban, insurgent, bande criminali e signori della droga non sono in grado di sopportare a lungo una costante pressione. Avere costantemente il fiato sul collo porta a commettere errori e gli affari politici ed economici ne soffrono troppo. E il passaggio di consegne all’esercito afgano sta procedendo bene: sono ormai in grado di articolare operazioni congiunte complesse sul campo e a livello di pianificazione. Il primo punto era costituito dal controllo delle vie di comunicazione, elemento chiave in un paese scarsamente popolato e costituito da altopiani desertici e da valli montuose, a volte inaccessibili. Ciò che preoccupa a prima vista un osservatore è lo squilibrio tra lo stato d’avanzamento delle operazioni militari della cosiddetta transizione che è divisa in 4 fasi e la cui seconda fase è ancora in atto, e la transizione politica. Basta prendere un elicottero da Herat e girare nelle Fob (le basi avanzate di Isaf) a sud e a nord della provincia occidentale – quella che confina con l’Iran – per avere l’impressione di viaggiare non su un mezzo aereo, ma su di una macchina del tempo. Si passa dall’evo moderno al Medioevo, fino a un tempo dove i Flinstones si troverebbero a loro agio. Chi è Karzai? Dov’è Kabul? Cos’è l’Afghanistan? Sono domande che puoi sentirti fare dagli abitanti di valli che sono l’alfa e l’omega, l’intero universo per la gente che vi abita. Allen è un pragmatico, umile, preparato, mai arrogante, sempre misurato e attento nelle risposte, quasi politico senza esserlo veramente. È il prodotto, come la maggior parte degli uomini in divisa statunitensi, di un concetto molto radicato: quello dei cittadini in divisa.