mercoledì 27 giugno 2007

Who cares Middle East?



«Sconfiggere gli arabi non è difficile, è praticamente inutile», queste semplici parole – che al pubblico italiano potrebbero risvegliare antichi ricordi - scandite nell’articolo di Edward Luttwak, che sta per uscire su Aspenia, sono la cifra del nuovo vento atlantico che spira già da tempo. Sulle pagine di «The American Interest», la nuova iniziativa di Fukuyama &Co, nel numero di maggio/giugno, si possono leggere analisi interessanti sull’irrilevanza del Medio Oriente (l’articolo è recensito sulla «Rivista delle riviste» - rubrica curata dall’autore di CL - su Risk 12, in edicola con l’ultimo numero di «Liberal» bimestrale). «Con l’entrata nel XXI secolo il Medio Oriente sarà sempre meno rilevante per Washington», sentenzia Philip E. Auserwald, professore di Harvard, che smonta, pezzo dopo pezzo, tutti i luoghi comuni sulla sicurezza energetica e strategica che farebbero del Medio Oriente la «fortezza Bastiani» di un Occidente in difesa di se stesso. La tesi di fondo è quella che il prezzo del petrolio e le riforme democratiche viaggino in direzioni opposte, in alcuni paesi. Un’atmosfera di fastidio che potrebbe essere una sorta di disprezzo verso ciò che non si può ottenere? Vista la mala parata, e le critiche di molti sinceri alleati di Washington, gli americani avrebbero deciso di derubricare il MO dall’agenda del Dos? Non sembrerebbe, viste le argomentazioni di Luttwak. In pratica, sia i falchi che le colombe sbaglierebbero sull’approccio alle politiche mediorientali. Le maniere dure aumentano l’ostilità, quelle morbide non raggiungo alcun obiettivo. «L’Islam, come ogni altra civiltà, ambisce a dirigere ogni dimensione della vita e in più, a differenza di altre civiltà, promette ai suoi fedeli la superiorità in ogni sfera; quindi l’arretratezza scientifica, tecnologica e culturale genera un senso d’umiliazione», afferma Luttwak confermando la tesi del povero Samir Kassir – sfortunato padre della primavera libanese, morto assassinato – sugli «infelici della storia». L’invito di Luttwak è quello di occuparsi meno del Medio e più dell’Estremo Oriente, dove si giocano gli equilibri del futuro. Una tesi che, nel libro «La difesa dell’Occidente» (ed. Liberal) di Pierre Chiartano, è posta alla base di ogni valutazione per comprendere le nuove architetture mondiali. Il libro infatti legge il conflitto con l’Islam solo come un tassello del più importante confronto asiatico col dragone cinese. La novità è che Luttwak inserisce l’Europa fra i luoghi degni di maggiore attenzione per una rinascita dell’Occidente. Forse dobbiamo aspettarci, anche noi europei, di non essere più considerati i «poor devils» di Foggy Bottom. Nell’attesa del nuovo inquilino della Casa Bianca, sembra che Washington stia allineando le priorità. Ma è sempre più netta la sensazione che il terreno che stanno preparando sia il campo di gioco preferito da Mrs. Hillary. Questo farebbe dell’Europa di un’eventuale presidenza Rhodam-Clinton un campo per un nuovo Grande Gioco atlantico. Saremo noi, cinici e disincantati europei, all’altezza della sfida?

martedì 26 giugno 2007

La verità in Medio Oriente



Al Qaeda offre un patto ad Hamas, forse questo è un primo segnale che gli accordi di Sharm stanno producendo qualcosa, perchè costringono i terrorismo a rilanciare. «Ex malo bonum» direbbe sant’Agostino per descrivere il raggio di luce che s’intravede nelle tenebre del martoriato Medio Oriente e la politica europea dovrebbe svegliarsi dall’overdose razionalista e raccogliere un testimone che gli Usa da tempo gli porgono. Qualche segnale anche nella sinistra italiana – escludendo Massimo D’Alema – sembra muoversi, tanto che Piero Fassino dichiarava – ieri sera ad un incontro organizzato dal Keren Kayemet Le Israel - che «finché l’Europa applicherà le categorie della razionalità astratta (sulle vicende mediorientali) non capirà Israele e la sua diffidenza verso i governi europei». Insomma il governo di Gerusalemme, come il popolo israeliano, temono di essere lasciati soli dall’Europa, come è già successo 60 anni fa. «Dobbiamo aiutare i mujaheddin palestinesi, che sono quelli di Hamas», dichiara Al Zawahiri che punta ad una nuova stagione di violenza. Ma anche nel mondo dei media arabi qualcosa sta cambiando se - come CL ha già scritto nel post de 16/06 «Chi ama i palestinesi?» - il direttore di Al Arabya dichiarava: «la nostra pervicacia nel tenere confinati i palestinesi nei campi come degli animali, per poter mantenere vivo il problema è forse un crimine peggiore di quello compiuto da Israele (…) che può permettersi di affermare di trattarli meglio dei loro fratelli arabi». Che la questione palestinese sia solo un pretesto, naturalmente, viene sottolineato anche da parte israeliana. «Il problema è concettuale , non riguarda lo scambio di territori altrimenti lo avremmo già risolto ieri. l'obiettivo è solo distruggere Israele per costruire il Califfato», è l’analisi, senza perifrasi, di Elazar Cohen, ministro consigliere dell’Ambasciata d’Israele in Italia. Le soluzioni non mancano rispetto ad un quadro angosciante per il futuro del MO e dell’Europa tutta, ma tutte passano da «una vittoria dell’Islam moderato». La situazione libanese poi è la chiave dell’incapcità erupea di svolgere un ruolo, che potenzialemnte posside, ma che non riesce ad esprimere al di fuori di una pericolosa astrattezza. Un pericolo che era stato evidenziato già da tempo e che può essere stigmatizzato dal contenuto di uno dei paragrafi del libro di Pierre Chiartano che potete leggere di seguito.
Tratto dal libro «La difesa dell’Occidente» di Pierre Chiartano con prefazione di Renzo Foa (edizioni Liberal) ppgg 184-187
«La grande attività diplomatica del governo italiano è ambivalente. Può essere una porta aperta verso il dialogo e la decompressione, sia pur momentanea, di molte tensioni, oppure il cavallo di Troia per tentare un colpo di mano diplomatico, militare e politico. Come? Ipotizziamo. Col nuovo anno, come suggerito dai «fuori onda» di Chirac, Hezbollah riprende a muoversi. Se il contingente e gli stati che lo sostengono non sapranno muoversi rapidamente ed efficacemente porteranno Israele a reagire. Militarmente saremmo ostaggi sul terreno, politicamente resteremmo impiccati a qualsiasi proposta di mediazione che venga dall’Iran, da Hezbollah, anche da Hamas che già sulla vicenda delle dichiarazioni Pontefice si è proposta come interlocutore. Nelle ultime settimane si è avuto un arretramento sensibile, almeno si è reso palese, della parte moderata - se esiste – dei governi islamici. L’ultrafondamentalismo lo sente, lo registra, lo sfrutterà politicamente e sul terreno del terrorismo. Non facciamoci illusioni schiaccerà sicuramente il piede sull’acceleratore. Gli Stati Uniti cosa hanno in mano per rispondere? Un apparato militare, pur in crisi di fondi, formidabile, ma sempre meno efficace rispetto al confronto asimmetrico messo in atto. Una macchina diplomatica che oggi conta molto sul ruolo dell’Europa ma che , anche dopo la sconfitta del partito del presidente Bush alle elezioni di mid-term, non cambierà la rotta in politica estera, se non per alcuni aspetti marginali. L’Europa cosa potrebbe fare? Niente, in caso la crisi dovesse precipitare, perchè è debolissima politicamente e perchè, probabilmente si lavorerà per renderla ancora più fragile. E forse, ripetiamo forse, saranno proprio i rapporti allacciati in queste settimane dall’Italia ad impedirle di dare subito un segnale forte, univoco e credibile».

sabato 23 giugno 2007

Occident’s sleep


In the battle of the ideas that it sees to us to intercross the blades with the Islam, the West and its defenders are themselves peck the accusation of being lukewarm if not coward. It is Ayan Hirsi Ali that declared dumbfound for the “shyness” with which connects western contrast - or at all does not contrast - the arguments of the Muslim foundamentalism culture. “Sense of uneasiness” that Ali felt already in 2004 during the crisis of the Danish cartoons and then in the vicissitude of declarations of Benedict XVI in Ratisbona. In both cases the international press advised to ask for forgiveness. “But because the westerners are therefore uncertain with regard to all that is therefore wonderful in the West: the political freedoms, free press, free of expression, the parity of rights between men and women, gay and heterosexuals?”, it’s asked, astonished Ali. She quotes Tony Blair and his article “The battle for global values” on the pages of Foreign Affaris in February, in order to praise of the analytical feature that privileges the soft power, like tool of the comparison, but of critical the appraisals on the Corano that, practically, it’s considered “a reformist” text. In the review (The review of the reviews) that I edit for «Liberal Risk», in number 11, I had reviewed that article, emphasizing the same conceptual weaknesses: “Historical participation of the english premier, already resumed from the international press, is that one introduced on Foreign Affairs pages. An interesting reading in order to emphasize the critical passages of it puts into effect the crash between the West and Muslim terrorism. Values and not emergency (security), soft power and not imposition of our culture to a world substantially pre-westfalic are the right choises. They are these - a lot synthetizes - characterizing points more of the long analysis; a turned appeal to the Islam, but from which shine through - perhaps - a suggestion for “evangelic” policy of Washington. To consider the Corano like a book “reformist” it can be a passage, a culturally useful key, in order to tie the distance of the birth of western modernity with the history of the muslim universe. It could be an attempt in order to pay compatible, therefore comprehensible to the players, two distances of civilization. It is a well known formulation many times over describing a Islam, in the Middle Ages, tolerant and crucible of cultures. The only weakness in this reading is perhaps theological; because he considered the sacred text of Muslims in the same way of the Bible, while it would be more right to compare it to the symbol of the Holy Cross. A fact that renders less agile the rational use of the contents of the Corano, according to a logical dialectic that does not hold account of the important aspect of the “word”. We cannot read the sacred text of the Islam - it would be better to define it symbolic - through the cartesian means of “reason”. We would risk tragic mistakes. An aspect that could make to less appreciable the speech of Blair winning for fundamentalist Muslim audience (even if not radical). The right attempt however remains, from part of one of the more important of western democracies statesman, to open a dialogue with those who Samir Kassir - ill-fated father of the libanese spring - defined “the poor devils of the history”. Just on this argument the British leader supplies the better side to the “pontoniers” of the dialogue, above all to those Muslims. He untangles the concept of civilization from its western characterization and transforms the war of the terror to the democracies, in one universal challange between hope and fear. One right chosen, from the media and political point of view. A battle in order to conquer the hearts and the minds of the “multitudes” - it would say Toni Negri - and to make to gain the values and modernity. To the end the renter of Downing street nozzle an appeal for the defense of the West, against the politician cynicism and for the transformation of the ideals in realpolitik”. Now Ali blinks us in face a truth who we know, but that we think it’s better not to acknowledge in order not to burn the paths of the dialogue. But he will be then therefore? “Tony Blair and the Pope should not be embarassed, would have to feel itself less to uneasiness in asserting that XXI the century is begun with a battle of the ideas. Those of the West against those of the Islam. And Islam and liberal democracies are incompatible”. Then naturally Ayaan Hirsi opens to the dialogue, with careful extension to the traps of the generalization, but it does not lose the conceptual kernel of the critic: “The culture Muslim is fundamentalally anti-western”. In the muslim schools, that would have the same rights to exist of those catholics, protestants or Jewish, they are teaching to hate for the Hebrew, the separation from «infidels» and the virtues of the jihad. Reciprocity in the relationship with the other faiths does not exist. “If the Muslims can make proselytism in the Vatican City, because the catholics can’t do the same in Mecca?». In the Organization of the Islamic Conference, two countries are democracies. “Both fragile and corrupts, face the risk to be overtaken from the agents of pure Islam”. If Turkey has the safety valve of an army caretaker of the kemalist laicism, Indonesia is lacking. In both the women still play an active role in politics, but they are perceived like the enemy to pull down, as the presence of the women in the public life were the last obstacle to the advent of the true Islam. For Ali - today she’s resident fellow at American Enterprise Institute – it’s basic to understand the differences between Islam and the West «why one is so great and the other so low». It’s usefull to gain this battle of ideas in order to save our civilization.

mercoledì 20 giugno 2007

La fine dell'Occidente e la sua «follia»



Ossessione dell’identità quella che trasuda dal lavoro di Emanuele Severino, filosofo contemporaneo che non vede un gran futuro per l’Occidente. Da Eraclito lungo i millenni l’Occidente sarebbe «un’increspatura». «La sua follia: il credere al divenire», al fatto che le cose possono trasformarsi in altro. E quale follia maggiore, aggiungiamo, è «la follia della Croce», la libertà dell’uomo di negare Dio, sino alla sua crocifissione e, dall'altra parte, poter invece scegliere il bene. Almeno sulle follie siamo d’accordo con Severino. «L’Occidente nasce all’interno della sintesi di ciò che abbiamo chiamato volontà d’identità e di ciò che è ora, in questa sintesi, chiamiamo volontà di diventare altro, volontà che il divenire sia diventar-altro». In pratica Severino cerca una strada «laica» per spiegare le radici dell’Occidente che sono cristiane e diventar-altro è il vino che diventa sangue del Cristo e il pane che ne diventa il Corpo. È questa una delle tesi fondamentali del libro «La difesa dell’Occidente» di Pierre Chiartano (Edizioni Liberal) che viene esposta ed analizzata confrontandosi anche con altri filosofi, come Massimo Cacciari. Il «divenir altro» può essere la sostanza del processo di scelta. La libera scelta, che è alla base della cultura occidentale e che è il fondamento del concetto di male, della sua esistenza. Un presupposto che mina, fa traballare la tradizione cartesiana dell’Europa continentale che domina la nostra cultura da almeno un paio di secoli e che ci sta conducendo all’autodistruzione. Una capacità di trasformazione che non è a senso unico. Il fango e la grazia che i cristiani ritengono essere la sostanza del corpo, sono la dicotomia dell’identità. Spiegarla laicamente è più difficile, ma i filosofi a questo servono e Severino è un vero maestro (leggere il suo «L’identità della follia» appena dato alle stampe). Siamo dunque felici che il tema sia passato ai professionisti del Tautòtes (identità), ma vorremmo che un’altra previsione spengleriana possa essere smentita perchè la difesa dell’Occidente è vitale per il nostro futuro di libertà.

Aquista il libro on-line su Internet Book Shop
http://www.internetbookshop.it/code/9788888835310/CHIARTANO-PIERRE/LA-DIFESA-DELLOCCIDENTE-CONFLITTI-CULTURALI-GUERRE-ASIMMETRICHE.html

giovedì 14 giugno 2007

Occidente, sì. Occidente, no




«L’apologia all’Occidente cristiano» è quello che segnala nelle sue Lettere Cattoliche, Luca Doninelli, sulle pagine culturali del Giornale di oggi. Cita diversi libri in uscita che trattano questo tema, ma il punto è la carta d’identità di questo Occidente, derelitto, bistrattato, eterno sofferente, carico di sensi di colpa veri e fasulli, che Doninelli vede ben rappresentato dalla tradizione cristiana. Sono anche i temi che il libro «La difesa dell’Occidente» di Pierre Chiartano, con prefazione di Renzo Foa, tratta cercando di arrivare alla radice del «male oscuro» che lo affligge. Non viene evitato quindi il dato antropologico che può essere considerato il centro del problema dell’Occidente debole. Sì, perché esiste anche un Occidente vitale, ottimista, propositivo rispetto al confronto/scontro con le altre culture. Il libro di Chiartano analizza proprio di questi due Occidenti, sezionati nel profondo dei processi identitari, e vede nell’«arma» della cultura l’unica difesa che ancora può salvare la culla di una civiltà che ha messo al centro del mondo l’uomo e la libertà. Libertà di scelta nella fede, fino alla negazione di Dio - «la follia della Croce» come affermato da Massimo Cacciari nel primo capitolo – libertà di scelta nel perseguimento della felicità o di ciò che è possibile ottenere con la finitezza dei mezzi terreni. C’è anche chi ci mette in guardia da «una forma di anti-illuminismo estetizzante che non giova alla conoscenza, ma che rischia di sostituire un dogmatismo con un altro», come afferma Luciano Canfora sulle pagine culturali del Corriere del 13 giugno. È l’atteggiamento di chi dichiara utile un’analisi non confessionale, ma poi, di fatto, trasforma l’approccio agnostico in una forma di ateismo iconoclasta. Canfora – è un’impressione – forse appartiene alla categoria d’intellettuali che quando parla di illuminismo intende l’illuminismo della ragione, quello di stampo giacobino. Vuole dimenticare che i Lumi sono stati declinati anche in altri colori, come quello inglese delle virtù o quello americano delle libertà, che non hanno coniugato la modernità in salsa ateista. Canfora rappresenta bene quella cultura che ha legato la modernità all’affrancamento da ogni religione e quando dichiara il suo agnosticismo intende praticamente affermare l’idea ateista. Anche questi sono temi affrontati e sviscerati nel libro «La difesa dell’Occidente» (Edizioni Liberal) che dedica un paragrafo a Luciano Canfora e ai detrattori della civiltà occidentale.

mercoledì 13 giugno 2007

Il Dragone dei mari

«La Cina costruisce una flotta da guerra per controllare il Pacifico», recita il catenaccio di un bel articolo di Fabio Cavalera, oggi, sulle pagine del Corriere della Sera. «I quattro quinti del petrolio importato dalla Cina sono nelle stive delle migliaia di navi che percorrono queste autostrade del mare. È qui nel Pacifico che si gioca, in prospettiva, la tenuta del miracolo cinese», fra gli stretti di Malacca, il Mar cinese meridionale, Taiwan e il Giappone. Un settore militare che ha visto aumentare le spese di Pechino del 15 per cento nel 2006 e del 18 per cento nel 2007. Sono i temi che «La difesa dell’Occidente» (Edizioni Liberal) di Pierre Chiartano con prefazione di Renzo Foa tratta in profondità con analisi comparative. Il libro dedica a questo argomento tutto il secondo capitolo, intitolato «Il futuro del mondo: l’aquila e il dragone». «Nei decenni a venire la Cina giocherà un’estenuante partita con gli Usa nel Pacifico, favorita non solo dalle sue coste sterminate, ma anche da un sistema di basi che si estende fin dentro l’Asia centrale», si può leggere nell’introduzione al secondo capitolo de «La difesa dell’Occidente. Conflitti culturali e guerre asimmetriche». Ed è proprio all’interno di queste nuove dinamiche strategiche che andrebbe inserito il terrorismo islamico. Un lungo racconto attraverso delle istantanee di un’America prossima ventura e di un dragone debuttante con l’aiuto di esperti del calibro di Sergio Romano e Carlo Pelanda, nel tentativo non esaustivo, di rendere comprensibile una realtà complessa che inciderà sempre di più anche sulle vicende nazionali. È quello che ci propone l’autore convinto, come afferma Renzo Foa nella prefazione che «oggi la resistenza è ai fondamentalismi e ai terrorismi»

martedì 12 giugno 2007

La rivoluzione americana



«America forza rivoluzionaria», è questa la definizione data da Condi Rice, qualche giorno fa e ripresa in un articolo del Corriere della Sera. La grande assente dell’ultima visita di George W. Bush in Europa, è lei la ex ragazza di Birmimgham, Alabama. Figlia di un pastore protestante ha vissuto gli anni violenti della «Bombingham». Ha visto morire le sue amichette di scuola rimaste all’interno di una chiesa durante un folle raid incendiario. Sa cosa voglia dire discriminazione, conosce il valore della meritocrazia che gli ha permesso di scalare velocemente i gradini del potere esecutivo fino nelle stanze della Casa Bianca. Conosce bene il valore della regola della legge temperata dalle Tavole della legge. È realista, ma non tanto da trasformare la sua politica in una cinica applicazione di un modello che segue solo le mappe del potere. È un’icona del potere delle lobby americane cui fa comodo proporre un messaggio costruttivo sull’integrazione? Forse così la pensano alcuni europei, ma basta essere stati pochi mesi da quelle parti, parliamo del profondo Sud, tra Misssouri, Tennesse e Alabama, per comprendere quanto le categorie di merito - che da noi in Europa vengono spesso utilizzate parlando dell’altra sponda atlantica - valgono poco quanto niente di fronte alla realtà dei fatti. Fatti che raccontano di una società dove il conflitto – quello con le regole – non è visto con sospetto, dove chi merita può primeggiare se rispetta le leggi dello Stato, ma soprattutto quelle degli uomini. Dove il vizio privato diventa virtù pubblica, perché deve esprimersi all’interno di un’etica talmente forte da poter convivere – senza danni- anche con gli interessi privati. È un mondo che la cinica Europa non può capire e non comprende, soprattutto, come politici come la Rice a noi servirebbero come l’ossigeno per respirare. Forse la strada per Withe House sarà ancora lunga per Condi, ma le auguriamo molta fortuna. Nel libro di Pierre Chiartano «La difesa dell'Occidente» (Edizioni Liberal) viene dedicato ampio spazio a questo interessante personaggio della politica d'oltre Atlantico. «L'esempio di Condi Rice: rule of law, prima di tutto» e «La ricetta Condi» sono due paragrafi del libro che spiegano il carattere del segretario di Stato che è anche il carattere della politica estera americana. Al di là degli stereotipi, spesso sbagliati, che non tengono conto delle diverse matrici culturali che segnano, fin nel profondo, l'agire dell'aquila americana da più di due secoli.

giovedì 7 giugno 2007

L'Occidente e il Dio della libertà


“La difesa dell’Occidente” è un libro che può aprire prospettive nuove al dibattito, sempre più vivace, intorno al tema del futuro della civiltà occidentale. L’Occidente viveva tranquillo, come se niente potesse minacciarlo, pensando che a nessuno sarebbe venuto mai in mente di mettere in discussione un sistema che aveva saputo creare sviluppo e prosperità. Così non è stato. L’Occidente ha scoperto, improvvisamente, di essere in pericolo. Dove trovare la forza per difendersi? Prima di rispondere a questa domanda, Pierre Chiartano ci suggerisce di riconoscere con onestà che la crisi dell’Occidente è cominciata molto prima che emergesse la minaccia del mondo islamico o di quello cinese; mondi che così massicciamente si sono riversati in Europa. È una decadenza che invece è incominciata secoli fa, con l’Illuminismo, o ancora prima. Oggi vediamo le conseguenze di questa crisi che ha gravemente indebolito il cuore del Vecchio continente. Il quadro che si presenta è desolante: l’Europa non ha una vera forza politica, non ha comuni difese militari, non ha nemmeno una solida base demografica. A questo dobbiamo aggiungere anche il peso delle sue colpe, l’enormità dei suoi peccati: la spaventosa realtà del nazismo, l’orrore dei regimi comunisti. Ma, fortunatamente, in questi secoli l’Occidente si è spinto anche oltre i confini dell’Europa ed è andato a mettere le sue radici al di là dell’Atlantico; oggi si estende fino a quella grande realtà che sono gli Stati Uniti d’America. Qui, ormai quattro secoli fa, aveva trovato rifugio lo sparuto gruppo di quegli uomini devoti che sono stati i Padri Pellegrini. I quali avevano compreso, già allora, quanto poco spazio fosse rimasto nella società europea all’affermazione di un ideale religioso come il loro. Infatti, dietro l’idea, formalmente legittima, dell’autonomia della politica dalla religione, rivendicata dalle leadership europee, si nascondeva in realtà un odio aperto nei confronti della fede. Non si trattava di autentica laicità, dunque, ma di vera persecuzione, come poi è diventato palese nel caso della Shoah. «C’è stato il tentativo» ricorda Pierre Chiartano, «delle classi intellettuali europee degli ultimi duecento anni, di mettere Dio fuori dalla storia, in nome di un laicismo che, sostanzialmente, negava la capacità di legare pensiero cristiano e modernità». Si tratta di un tentativo originato da un pregiudizio nei confronti del cristianesimo. Altrimenti, si dovrebbe riconoscere l’evidenza del fatto che laici e cristiani parlano la stessa lingua. Perché partono dalla comune consapevolezza dell’irriducibilità dell’io a qualsiasi forma di potere. Il superamento di questo pregiudizio che l’autore sollecita ripetutamente nelle pagine di “In difesa dell’Occidente” apre nuove e ampie prospettive al dibattito culturale. Prospettive che possono portare a riconoscere che la fede cristiana non pone un limite alla ragione. Al contrario, oggi l’unica modalità per difendere la laicità è quella di difendere la fede cristiana. Per la semplice ragione che il cristianesimo è l’unica religione che pone la libertà dell’uomo al di sopra della stessa legge religiosa; una libertà che lascia gli uomini liberi perfino di negare la presenza di Dio. Quello cristiano, infatti, è un Dio che ha accettato un patto con l’uomo; un patto col quale si riconosce all’uomo piena libertà nei confronti di Dio stesso. Un patto che prevede anche la possibilità della negazione di Dio, una negazione che può spingersi e che si è spinta fino alla eliminazione fisica di Dio. È il mistero o, come diceva Paolo di Tarso, la “follia” della croce.


di Paolo Tritto, scrittore materano

http://www.webalice.it/paolotritto/

mercoledì 6 giugno 2007

L'arma segreta dell'Occidente: la cultura


«Siamo in difficoltà come Occidente nell’uso della nostra forza in campo tecnologico, militare ed economico. È la cultura l’arma che può fare vincere l’Occidente nel confronto con l’Islam e l’Oriente. Il libro di Pierre Chiartano sottolinea quest’aspetto del confronto di civiltà in atto. È un manuale che, in trecento pagine, spiega punti di forza e fragilità del nostro mondo. L'autore ci propone un grande racconto su questo conflitto culturale», sono le parole di Renzo Foa durante la presentazione del libro «La difesa dell’Occidente» (Edizioni Liberal) avvenuta a Matera il 30 maggio, nella splendida cornice seicentesca di Palazzo Lanfranchi. Oggi museo e sede del centro Carlo Levi, un tempo liceo, che vide un giovane Giovanni Pascoli muovere i primi passi nel campo dell’insegnamento. Matera terra d’incontro fra Oriente e Occidente dove gli affreschi bizantini delle chiese rupestri e i primi insediamenti benedettini segnano la cifra di un limes che ha visto intricarsi le radici dell’ethos ebraicocristiano e del logos greco. Normanni, angioini, spagnoli e alcune presenze arabe fanno di Matera, assieme alla daunia di Federico II, il luogo dove croce e mezzaluna si sono incontrate ed hanno convissuto innestate da altre tradizioni. Il libro di Chiartano, che ha avuto successo anche in questa occasione, è una sfida lanciata agli stereotipi di un’informazione e di una politica che si è fermata ai modelli interpretativi del secolo scorso e che rischia di non avere gli strumenti per capire il presente. Un giro a vuoto che condanna il Paese allo stallo, in economia come nel confronto più ampio e privo di confini del nuovo balance of power, che sta prendendo forma sotto i nostri occhi e indipendentemente da noi.