giovedì 29 marzo 2012

Dine out with John R. Allen

L’atmosfera è quella rarefatta delle grandi occasioni, ma informale abbastanza per far sentire tutti a proprio agio. Siamo a Bruxelles in una zona non lontana dal comando Nato e dall’aeroporto. Al secondo piano di un ristorante elegante c’è un piccolo convegno di giornalisti, militari e diplomatici. Il tema è l’Afghanistan in modalità off the record. Significa che chi scrive non può mettere virgolettati e che ogni argomento sarà una libera interpretazione di ciò che è stato detto tra l’antipasto e il dolce. I diplomatici sono due vice del segretario generale Anders Fogh Rasmussen, responsabili per l’Afghanistan e la public diplomacy, il militare in abiti civili è il generale John R. Allen, comandante in capo di Isaf, la missione militare nel paese centrasiatico che dovrebbe concludersi nel 2014. Ha un attendente, un maggiore dei Marines che mi racconta quanto siano dure le prime due settimane di addestramento a Quantico. Sembra la controfigura di Obama ed è un campione di tatto e diplomazia. I media sono ben rappresentati da esperti e vertici del Times, Figaro, Le Monde e la tv pubblica nipponica Nhk. Naturalmente era già scoppiata la piccola mina mediatica delle dichiarazioni di Leon Panetta, segretario alla Difesa Usa che durante il volo verso la capitale belga aveva anticipato le mosse del ritiro e del cessate il fuoco, creando qualche imbarazzo a Rasmussen il giorno dopo. Ma dobbiamo ammettere che a parte qualche sottolineatura della stampa, la questione era puramente formale. Il presidente Barack Obama, ancora una volta, ha voluto mantenere una promessa fatta in campagna elettorale: via dall’Iraq, via dall’Afghanistan as soon as possible (prima possibile). L’interesse americano è ora assorbito dal confronto con la Cina e dallo scenario Pacifico. Ciò che invece è assai interessante è l’analisi che ne scaturisce dell’intervento in Afghanistan, «una guerra inutile e costosa» secondo l’esperto americano e consulente del Pentagono, Edward Luttwak. Le operazioni militari stanno funzionando. Taliban, insurgent, bande criminali e signori della droga non sono in grado di sopportare a lungo una costante pressione. Avere costantemente il fiato sul collo porta a commettere errori e gli affari politici ed economici ne soffrono troppo. E il passaggio di consegne all’esercito afgano sta procedendo bene: sono ormai in grado di articolare operazioni congiunte complesse sul campo e a livello di pianificazione. Il primo punto era costituito dal controllo delle vie di comunicazione, elemento chiave in un paese scarsamente popolato e costituito da altopiani desertici e da valli montuose, a volte inaccessibili. Ciò che preoccupa a prima vista un osservatore è lo squilibrio tra lo stato d’avanzamento delle operazioni militari della cosiddetta transizione che è divisa in 4 fasi e la cui seconda fase è ancora in atto, e la transizione politica. Basta prendere un elicottero da Herat e girare nelle Fob (le basi avanzate di Isaf) a sud e a nord della provincia occidentale – quella che confina con l’Iran – per avere l’impressione di viaggiare non su un mezzo aereo, ma su di una macchina del tempo. Si passa dall’evo moderno al Medioevo, fino a un tempo dove i Flinstones si troverebbero a loro agio. Chi è Karzai? Dov’è Kabul? Cos’è l’Afghanistan? Sono domande che puoi sentirti fare dagli abitanti di valli che sono l’alfa e l’omega, l’intero universo per la gente che vi abita. Allen è un pragmatico, umile, preparato, mai arrogante, sempre misurato e attento nelle risposte, quasi politico senza esserlo veramente. È il prodotto, come la maggior parte degli uomini in divisa statunitensi, di un concetto molto radicato: quello dei cittadini in divisa.