martedì 20 novembre 2007

Cartesio e l'Islam



Le continue polemiche scatenate da Tariq Ramadan, sono alimentate più dalle sue ambiguità di comportamento che dall’approccio teorico che vorrebbe propugnare. In maniera molto semplicistica vorremmo riassumere. La rimonta islamica cominciata con la crisi nasseriana e del modello laicista di stampo europeo, ha avuto alcuni passaggi chiave. Il primo l’abbiamo citato e ha causato la svolta “radicale” del movimento dei Fratelli mussulmani in Egitto, con Sayyd Qutb; il secondo è stato la rivoluzione komehinista che ha portato lo sciismo musulmano a fare i conti con la gestione politica del potere (negata dalla tradizione duodecimana). Il tentativo di Nasser di strumentalizzare l’islam presentata come «religione socialista», partendo dalla radice razionale e priva di «misteri» che la caratterizza, fallisce, accompagnata da una durissima repressione; Qutb sarà giustiziato nel 1966. Con il khomeinismo cresce lentamente il concetto di religione-mondo applicata alla politica dell’universo sciita che creerà strutture e istituzioni più adatte al radicamento sociale nell’islam moderno e «infelice». Ma veniamo ai punti di contatto fra «modernità», intesa secondo i canoni occidentali, e alcuni passaggi della «filosofia» islamica. Qutb cita la «perfetta uguaglianza umana e la ferma solidarietà sociale», ma legge l’Occidente come empio e corrotto. Il tunisino Rashid al Gannushi, al contrario ha studiato la filosofia occidentale e percepisce quest’ultima come un «contrappeso ideologico alle dottrine islamiche» (da «Arcipelgo Islam», di Mezran-Campanini, Laterza editore) e lavora ad una ridefinizione dell’identità arabo-islamica che riesca a declinare modernità e religione. Anche lui finisce però giustiziato nel 1987. Possono essere due campioni fra posizioni “radicali” e “moderate”, mettendo il quaedismo nella casella dell’ultraradicalismo. Però entrambi sono violentemente anticapitalisti, sinceramente antisionisti, anche se il secondo non parrebbe venato di antisemitismo. Il nodo, come viene spiegato nel capitolo sulla Weltanschauung islamica del libro «La Difesa dell’Occidente» (Liberal edizioni) è nella visione antropologica della cultura musulmana, dove l’individuo è subordinato alla comunità e il concetto di libero arbitrio e sinceramente reso problematico da alcuni passaggi teologici, se così possiamo definirli. Il primo è il valore legale delle preghiere e l’origine rivelata del diritto. Il secondo e la sostituzione della formula ebraicocristiana «uomo-Dio» in quella di «uomo-vicereggente di Dio», con tutto quello che ne consegue dal punto di vista della filosofia «politica». Dal Dio incarnato e rinnegato fino alla Croce, al Dio solo trascendente, ma senza «misteri», corre il confine e la possibilità di un futuro dialogo fra i due mondi. Dal Dio-Uomo deriva l’antropocentrismo occidentale, dalla «follia della Croce» il concetto del libero arbitrio. Dall’uomo reggente di Dio deriva invece un’impostazione «suddita» della persona, dove la comunità prevarica l’individuo, più vicina alla sociologia marxista che alla contrattualistica lockiana. Né la natura razionale dell’Islam ha prodotto pensatori come Cartesio, con buona pace per al Wahab. Anche se la definizione della società musulmana come prewestfalica può avere dei limiti, difficilmente potremo equiparare i frutti politico-istituzionali che ne sono derivati. È vero che sotto il regno Omayyade e poi Abbaside le funzioni politiche e religiose furono separate e non si ebbe più la sovrapposizione fra capo dello Stato e vicario di Dio sulla terra, ma questo non produsse un’evoluzione, solo un cambiamento. La lotta fra califfi e ulama, vide vincenti i secondi. I califfi diventavano così dei semplici custodi dell’ortodossia delle leggi islamiche. Questo però non è imparentato con la separazione fra «Trono» e «Chiesa» da cui derivò, nel tempo, il costituzionalismo parlamentare, ma semplicemente il risultato di una lotta di potere tutta interna alla cultura teologica dell’Islam. Dove invece ci sarebbe la possibilità di scovare dei punti di contatto «fertili» è nel contagio con la filosofia greca, passata in Occidente attraverso Avicenna con le sue opere su Aristotele, arrivati a noi attraverso i commentari di al Farabi. Ma sarebbe un’operazione a freddo, che non tiene conto del «caldo» revanchista di un’Islam per troppo tempo tenuto all’angolo dal finto modernismo d’importazione. Un bigottismo laico, da tempo in crisi anche in Europa, che non ha più alcun appeal presso le classi dirigenti arabe e mediorientali. È comunque la strada da seguire, in attesa di una Nahda (rinascita) culturale anche in Occidente.