mercoledì 23 maggio 2007
Gli scogli sulla rotta di Sarkò
L’avvento di Nicolas Sarkozy segna la salita all’Eliseo del più filoamericano fra i leader francesi dopo Lafayette. Le riforme all’anglosassone promesse da Sarkò non garantiscono però che la voglia dei francesi di mantenere le garanzie del welfare socialista scompaia come neve al sole. Il neopresidente dovrà essere abile, ruvido quanto basta, per vincere la resistenza francese e riportare Francia alla gloria. Portatore di un messaggio politico di rottura per la modernizzazione del Paese, indica Margaret Tatcher e Tony Blair come modelli. Spesso fa trasparire la sua ammirazione per gli Stati Uniti e la sua retorica a favore del duro lavoro e gli appelli «alla Francia che si alza presto» sono alla Ronald Reagan. Di conseguenza i suo cavalli di battaglia politici seguono il filone favorevole ad un abbassamento delle tasse alle imprese, alla riduzione delle pensioni nel settore pubblico e all’allenamento del modello lavorativo delle 35 ore settimanali. Per l’autore dell’articolo di Foreign Policy, Patrick Felton, non ci sono dubbi in proposito, la Francia ha un tremendo bisogno della «medicina Sarkozy». Secondo l’Economist i transalpini hanno la più bassa crescita economica, fra le grandi potenze europee. Negli ultimi 25 anni il pil procapite francese è precipitato dal settimo al diciassettesimo posto nel mondo. La disoccupazione è al 10 per cento. I problemi francesi sono, secondo l’analista di FP, seri ma non insuperabili, soprattutto se Sarkozy sarà altrettanto spregiudicato nell’azione politica quanto lo è stato nelle dichiarazioni. Nessun altro politico, dai tempi di Charles de Gaulle, si trova in condizioni così favorevoli per attuare riforme decisive. Belton mette sull’avviso il neopresidente: i difensori dello status quo saranno pronti a salire sulle barricate per fermarlo. Poi azzarda alcuni consigli, come si usa dalle parti di Washington. Dovrà addomesticare i sindacati, segnatamente quelli dei trasporti, come insegna l’esperienza della Teacher e di Reagan. Se non riuscirà a garantire un minimo di servizi ferroviari e sui mezzi pubblici nelle ore di punta, i sindacati avranno ancora gioco facile nel mettere la Francia in ginocchio. È il compito che avrebbe dovuto portare a termine Chirac e che non ha fatto. È ciò per cui Sarkozy è stato eletto. Dovrà anche ripescare i famigerati Contratti di primo impiego (Cpe) chiamati anche «contratti Kleenex», che lo scorso anno scatenarono le reazioni di studenti e sindacati. Il consiglio, non senza una certa ironia, è quello di far passare le leggi sulla riforma del lavoro d’estate, quando gli studenti sono al mare. Rimarrebbero così solo le banlieues e il Cgt il sindacato comunista che guidò il grande sciopero del 1995 contro il governo Juppé e la sua riforma delle pensioni. Per i francesi il ritorno dalle vacanze estive significa solo una cosa : è tempo di scioperi. Sarkozy è la migliore chance per la Francia e per i ragazzi delle periferie che vogliano integrarsi; ha varato i comitati islamici e derogato dal laicismo di Stato finanziando le strutture religiose. Ha piazzato Rachid Dati al nuovo ministero dell’Immigrazione e dell’Identità nazionale e, coniugando diritti a responsabilità, ha reso chiaro il nuovo messaggio al Paese. Speriamo riesca a ridare orgoglio alla Francia perché se dovesse fallire – sentenzia Belton - non basterà la Peugeot a rimpiazzare tutte le auto bruciate.
giovedì 17 maggio 2007
Turchia: l'amante ferita
«Chi vuole le divisioni è solo chi ha perso il valore della verità», comincia con queste poche frasi, dense di significato nel dialogo con l’Occidente cristiano, Mesut Yilmaz; già primo ministro del governo turco ai tempi del caso Ocalan ed elemento di spicco del Partito della madre Patria. Siamo in una delle tante iniziative a latere della grande chermesse della Fiera del libro di Torino (13 maggio, sala azzurra). Se questo è uno dei primi frutti della storica visita del Santo Padre in Anatolia non possiamo che esserne felici. Il tentativo di legare i confini (tema della Fiera) dell’Europa ad uno spazio culturale più ampio è la strada giusta per dialogare con una Turchia che, dopo le recenti manifestazioni di piazza che ha portata nelle strade il mondo laico, vuole essere interlocutrice dell’Europa. Il silenzio che opprimeva la Turchia moderata, che sembrava lasciare aperte autostrade al fondamentalismo islamico sembra finito. Ci sono voluti i tragici eventi come l’omicidio di un giornalista per dare la sveglia ai figli di un kemalismo stanco quanto a corto di strumenti culturali per confrontarsi con un’etica musulmana fortissima. Isolati in Patria e disprezzati da un’Europa che non si accorge essere destinata a soccombere di fronte ad un Paese giovane e dinamico (8% di crescita del Pil). «Democrito era nato in Asia minore e solo grazie alla mediazione dell’Anatolia il cristianesimo è giunto in Grecia», l’altro affondo che indica chiaramente la strada del dialogo. I confini geografici sono convenzioni politiche, in quanto tali possono essere superate. Temi questi, approfonditi nel libro «La difesa dell’Occidente» (ed. Liberal) dove il «problema» Turchia viene affrontato tentando di trovare le strade per trasformarlo in risorsa, seguendo il modello del confronto culturale. A fianco di questo sincero portatore d’acqua al mulino dell’integrazione esiste anche un’latra Turchia. «Mi considero tedesco, ma non europeo. Penso che la Turchia non sarà mai europea», a parlare è Feridun Zaimoglu scrittore, giornalista e autore di soggetti cinematografici. Nato in Turchia e vissuto per trent’anni in Germania si comporta come un amante ferito. «I peggiori detrattori della Turchia, coloro che vedono la verginità europea in pericolo, sono i sessantottini, i portatori di luce», è l’accusa diretta al conservatorismo dei vecchi ribelli della fantasia al potere. Zaimoglu è un ottimista costretto a derogare alla sua natura di fronte all’ostracismo europeo. Sono personaggi come questi con cui dovremmo allacciare rapporti per evitare che la delusione si trasformi in odio nei confronti di una madre culturale, l’Europa, che rischia di trasformarsi in matrigna. Chi ha invece colto alcune contraddizioni è stato il prof. V.E. Parsi. «I nostri ospiti hanno parlato in tedesco, la lingua meno globale e più europea che ci sia». In fondo l’Europa è stato un progetto di nazione civica nata per decisione politica, come la Turchia nata dal kemalismo, «nulla a che fare con la biologia, la cultura o la tradizione», secondo Parsi. Ma forse è proprio questo il peccato originale che ha fatto naufragare il progetto di costituzione. Le alchimie politiche che dimenticano il fango e lo spirito dei sentimenti più profondi dei popoli rischiano sempre di morire in provetta. Oggi non c’è più tempo per le analisi serve agire, tendere una mano a quei turchi che ancora credono nell’Europa prima che diventino una sparuta minoranza.
mercoledì 16 maggio 2007
Democrazia e disinformazione
La sala rossa della Fiera del Libro di Torino fa da sfondo ad una strana commedia. È domenica 13 maggio, il tema è «Centro e periferie, il caso Londonistan». Molta gente, ma non il pienone visto per il confronto Zagrebelsky-Canfora del giorno prima. C’è attesa per l’arrivo del controverso Tariq Ramadan, mente illuminata dell’islamismo europeo che non ci ha ancora spiegato come coniugare islam e modernità. Gli fa da apripista un fantomatico dott. Ahmed, che parte in sordina per poi sciorinare la più ovvia e scontata propaganda antioccidentale. I rapporti fra Mi-6 e il gruppo Al- Jarum responsabile degli attentati del 07/07/06 e della direzione strategica di molti di quelli in Iraq - sempre seconde le tesi di Ahmed -, e via elencando notizie provenienti da «my sources» non meglio specificate, fino alla guerra del Kossovo dove il famigerato Abu Hamza sarebbe stato reclutato (ora soggiorna nelle galere britanniche), sempre dagli «uomini neri» dell’MI-6. Ma è mai possibile che in un contesto così qualificato come quello della Fiera si cada in certe trappole? Possibile che lo spirito critico di tanti analisti non si accorga di certi meccanismi perversi della comunicazione? Faccio un esempio perché è assolutamente ridicolo ciò che ho sentito. Immaginate un servizio d’intelligence, mettiamo il Sismi, stia seguendo da tempo un gruppo di terroristi ultrafondamentalisti in Italia e all’estero, temendo attentati nel nostro Paese. Il primo compito sarebbe quello di carpire informazioni. Strumento principe per farlo, oltre il telint, è l’infiltrazione di quella organizzazione con propri uomini. Compito non facile, ma possibile. Il gruppo decide un attentato a Roma, ma giustamente non fa filtrare troppe notizie fra i propri membri, temendo che il piano possa essere scoperto. Una delle informazione più importanti la data e il luogo dell’attentato, potrebbe essere non alla portata dell’infiltrato. Per malaugurato destino l’attentato viene compiuto. Passa qualche tempo e la rete viene scoperta e i membri arrestati, anche grazie al lavoro dell'agente doppio. Dopo qualche mese la magistratura, che non sa niente di queste operazioni, scopre che uno dei membri del gruppo era legato al Sismi. Per giunta veniva pagato. Secondo le tesi dei vari dott. Ahmed che non mancano neanche in Italia, il Sismi sarebbe coinvolto nell’attentato. Ma vi pare che una sciocchezza del genere possa circolare in un Paese normale?
Ecco, dopo questa preparazione psicologica della platea, si materializza lui, Tariq Ramadan. Appena sceso dalla scaletta di un volo Alitalia, atterrato in ritardo, non manca di sottolineare il nostro. Poi parte la requisitoria in forma assai intelligente, perché entra nella dimensione dell’analisi pragmatica. Prima dimensione: rapporti fra politica e intelligence e fra questa e i gruppi terroristi. La seconda riguarda la religione e la sua capacità di costruire un’identità individuale e pubblica. Qua il messaggio è per le istituzioni politiche europee. La terza dimensione riguarda la ricerca di una sintesi per trovare soluzioni concrete. Punto su cui è difficile non essere d’accordo. Dove Ramadan tocca le corde emotive di molti e quando richiama i valori della democrazia. «La democrazia è anche una responsabilità, non è sempre un diritto», gli applausi «scappano di mano», come si dice. Peccato che tanto fervore democratico, e tanta sincera passione intellettuale – che va riconosciuta – sia messa al servizio di un messaggio che definire ambiguo è un eufemismo. È il duo Ahmed-Ramadan ha creare perplessità. I sensi di colpa scatenati dal primo servono all’introduzione del dubbio che la democrazia sia malata come meccanismo politico che viene inoculato dal secondo. Quando l’Occidente comincerà a capire che in ballo c’è la propria sopravvivenza?
martedì 15 maggio 2007
«Basta con i sensi di colpa dell'Occidente»
«La difesa dell'Occidente» (ed. LIberal) di Pierre Chiartano è stato presentato alla Fiera del libro di Torino, riscuotendo un notevole successo. «Sold out» per il titolo che è andato esaurito e numerosi passaggi e segnalazioni sui media nazionali. I temi del libro sono di bruciante attualità. Dal confronto di civiltà alla governance globale, dai nuovi equilibri mondiali che vedono il confronto con l'islam come primo gradino di quello più impegnativo col dragone cinese allo stato di salute della politica e degli stati nazione. Uno dei capitoli più lunghi ed interessanti del libro è stato dedicato - con una certa lungimiranza - al neo-eletto presidente francese Nicolas Sarkozy. Un cattolico nella laicissima Francia incaricato di disinnescare la bomba islamica con la sua comunità di 6 milioni d'individui, la più grande d'Europa. Proprio stamattina nello spazio Etoile nell'incontro intervista far Gianfranco Fini e José Marìa Aznar, condotto da Stafano Folli, si è parlato come se l'agenda fosse stata costruita sui temi del libro. Le ragioni profonde dell'identità dell'Occidente che deve cercare di recuperare orgoglio e responsabilità per poter dialogare con il resto del mondo senza soccombere schiacciato da sensi di colpa che non hanno più ragione di esistere. «Basta sentirsi in colpa», ha affermato Aznar, spiegando come la «rivoluzione» sarkozysta che coniuga diritti e responsabilità dovrebbe essere esportata in tutta Europa.
(nella foto l'autore di «La difesa dell'Occidente» durante una delle numerose interviste rilasciate durante l'evento Fiera del libro, al Lingotto di Torino)
venerdì 11 maggio 2007
Il libro è presente alla Fiera di Torino al Pad. 2 G134
È in onda oggi dalle 13.30 l'intervista all'autore di «La difesa dell'Occidente», Pierre Chiartano, sul network nazionale «RadioinBlu» che ha dedicato all'evento del Lingotto una lunga diretta. (www.radioinblu.it)
La giornalista della Stampa, Anna Masera, ha segnalato il libro nella sua rubrica WEBNOTES (linka qui sotto): http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/hrubrica.asp?ID_blog=2
Un brano del libro è stato letto nella trasmissione di Radio24 «RADIO READING» (sabato 12 maggio ore 11.20)
mercoledì 9 maggio 2007
Lutero e il Pil
Ieri sera ospite della trasmissione «8 e mezzo» l’ambasciatore Usa, Ronald Spogli, ha introdotto alcuni argomenti chiave nel dialogo euroatlantico. Ha tracciato alcune linee che caratterizzano le differenze fra il capitalismo angloamericano e quello eurocontinentale. Differenze assai poco materiali perché nascono dalle radici filosofiche di due modelli culturali che hanno alla base una differente percezione dell’uomo e del concetto di persona. Nel libro «La difesa dell’Occidente» è un tema che occupa un capitolo intero di cui vorremmo anticiparvi uno stralcio che riguarda l’intervista a Francesco Alberoni:
Sul tema della forza delle comunità e della sua genesi, Francesco Alberoni elabora una personale teoria che unisce due discipline, come spiegheremo più avanti, dando un taglio molto originale alla sua analisi sulla nascita della comunità al di fuori delle teorie contrattualistiche. Spirito dei tempi, realtà contemporanea, ricerca di un principio unificante che dia senso alle nostre azioni. Questi i temi che hanno dato inizio alla lunga e completa rassegna sulle qualità che devono sostenere l'uomo del nuovo millennio. «Forza morale» e coraggio per resistere ad un ambiente ed una cultura che mortifica l'individuo, la risorsa umana, le speranze. «Intelligenza e fede» per costruire ed agire con l'aiuto della ragione ed il sostegno della trascendenza. È un modo per far meglio comprendere la cultura etica sottesa al modello politico «protestante» angloamericano, che aiuterebbe a meglio capire scelte e comportamenti di quei sistemi politici. Farlo con esempi comprensibili, che esorbitano l’ambito prettamente politico, può essere di grande utilità per una diffusione delle idee di base di una società veramente liberale. Questo è solo l'inizio, è l'avvio di un discorso lungo e profondo sulla natura umana e su ciò che è utile e serve per crescere e maturare come individui, ma anche e soprattutto come società. Alberoni è uno studioso di movimenti collettivi. Unisce uno strumento un po’ «vecchio», come la sociologia politica, a qualcosa di «nuovo» come la psicologia individuale. Lo fa con lucidità, chiarezza e anche con spunti di rara genialità per la semplicità degli accostamenti, il potere di sintesi e la semplicità del messaggio. Dunque le virtù come forza che ci spinge verso qualcosa di elevato, che ha valore. «Una potenza che ci trascina a superare la nostra vita quotidiana, ad andare al di là di ciò che siamo abitualmente. Una spinta verso il futuro, una fede nella propria meta, nelle proprie possibilità. L'entusiasmo è una esplosione di speranza». En theos una parola greca che significa essere in Dio. Energia, slancio e fede in un continuo ideale che riporta al centro Dio e l'uomo. «Forza dell'amore», le sue istituzioni e grandi rivoluzioni, i cambiamenti della storia. Ecco un primo accostamento tra grandi movimenti e passioni individuali. Un contrappunto affrontato già in molte pubblicazioni. Nessuna relazione, che sia individuale o collettiva, dura a lungo se non viene «istituita», cioè inquadrata in patti, convenzioni, accordi, limiti. Per gli individui può essere il matrimonio per i popoli sono gli Stati, le nazioni, ma alla base della durata di entrambe c' è l'amore ed il rispetto, la stima. È questa un’altra suggestione che rende comprensibile la natura complessa della storia delle nazioni. La filosofia politica ridotta in pillole, tanti suggerimenti che spingono chi vuole ad approfondire, ma fanno anche capire quale grande occasione sia per un Paese vivere epoche di grandi cambiamenti, come quelli che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte. Grandi cambiamenti, grandi valori e virtù per crescere, giudicare e selezionare una classe dirigente più adatta ai nuovi percorsi che la società aperta offre. L'uomo ed il suo essere si oggettivizza, per Alberoni, enunciando una formula che spiega un modo semplice per giudicare gli uomini: guardare ciò che hanno fatto, come vivono per capire chi sono veramente. (l'intervista continua)
Sul tema della forza delle comunità e della sua genesi, Francesco Alberoni elabora una personale teoria che unisce due discipline, come spiegheremo più avanti, dando un taglio molto originale alla sua analisi sulla nascita della comunità al di fuori delle teorie contrattualistiche. Spirito dei tempi, realtà contemporanea, ricerca di un principio unificante che dia senso alle nostre azioni. Questi i temi che hanno dato inizio alla lunga e completa rassegna sulle qualità che devono sostenere l'uomo del nuovo millennio. «Forza morale» e coraggio per resistere ad un ambiente ed una cultura che mortifica l'individuo, la risorsa umana, le speranze. «Intelligenza e fede» per costruire ed agire con l'aiuto della ragione ed il sostegno della trascendenza. È un modo per far meglio comprendere la cultura etica sottesa al modello politico «protestante» angloamericano, che aiuterebbe a meglio capire scelte e comportamenti di quei sistemi politici. Farlo con esempi comprensibili, che esorbitano l’ambito prettamente politico, può essere di grande utilità per una diffusione delle idee di base di una società veramente liberale. Questo è solo l'inizio, è l'avvio di un discorso lungo e profondo sulla natura umana e su ciò che è utile e serve per crescere e maturare come individui, ma anche e soprattutto come società. Alberoni è uno studioso di movimenti collettivi. Unisce uno strumento un po’ «vecchio», come la sociologia politica, a qualcosa di «nuovo» come la psicologia individuale. Lo fa con lucidità, chiarezza e anche con spunti di rara genialità per la semplicità degli accostamenti, il potere di sintesi e la semplicità del messaggio. Dunque le virtù come forza che ci spinge verso qualcosa di elevato, che ha valore. «Una potenza che ci trascina a superare la nostra vita quotidiana, ad andare al di là di ciò che siamo abitualmente. Una spinta verso il futuro, una fede nella propria meta, nelle proprie possibilità. L'entusiasmo è una esplosione di speranza». En theos una parola greca che significa essere in Dio. Energia, slancio e fede in un continuo ideale che riporta al centro Dio e l'uomo. «Forza dell'amore», le sue istituzioni e grandi rivoluzioni, i cambiamenti della storia. Ecco un primo accostamento tra grandi movimenti e passioni individuali. Un contrappunto affrontato già in molte pubblicazioni. Nessuna relazione, che sia individuale o collettiva, dura a lungo se non viene «istituita», cioè inquadrata in patti, convenzioni, accordi, limiti. Per gli individui può essere il matrimonio per i popoli sono gli Stati, le nazioni, ma alla base della durata di entrambe c' è l'amore ed il rispetto, la stima. È questa un’altra suggestione che rende comprensibile la natura complessa della storia delle nazioni. La filosofia politica ridotta in pillole, tanti suggerimenti che spingono chi vuole ad approfondire, ma fanno anche capire quale grande occasione sia per un Paese vivere epoche di grandi cambiamenti, come quelli che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte. Grandi cambiamenti, grandi valori e virtù per crescere, giudicare e selezionare una classe dirigente più adatta ai nuovi percorsi che la società aperta offre. L'uomo ed il suo essere si oggettivizza, per Alberoni, enunciando una formula che spiega un modo semplice per giudicare gli uomini: guardare ciò che hanno fatto, come vivono per capire chi sono veramente. (l'intervista continua)
martedì 8 maggio 2007
lunedì 7 maggio 2007
Nicolas il «cattolico»
All’indomani della piccola rivoluzione nella politica francese con la vittoria di Nicolas Sarkozy nella corsa all’Eliseo, vogliamo anticipare alcuni brevi passaggi di uno dei capitoli del libro (in uscita nelle librerie per i tipi di Liberal Edizioni) «La difesa dell’Occidente» di Pierre Chiartano, con la prefazione di Renzo Foa. L’elezione del primo cattolico convinto, alla presidenza della Quinta Repubblica, segnerà una svolta storica nella politica transalpina, ma porrà subito la Francia di fronte ad una serie di problemi di non facile soluzione; dal rapporto con la più numerosa comunità islamica d’Europa, alle fratture politico-sociali che la cattiva gestione delle opportunità della globalizzazioni tendono ad accentuare. Rimane comunque emblematica la scelta della laicissima Francia di delegare a un cattolico la gestione dei rapporti con la comunità islamica. Segno che la cultura dei Lumi, votata alla sola ragione, non è più adatta alla complessità dei nuovi rapporti culturali.
«La religione al servizio della società». La religione cattolica ha svolto un ruolo importante nel diffondere e mantenere l’istruzione civica e morale. Sarkozy da atto al ruolo della religione, con la sua presenza diffusa sul territorio, nell’aver aiutato la costruzione dello spirito di cittadinanza integrando ed equilibrando le molte parti della società francese. È convinto che lo spirito e la pratica religiosa siano elementi regolatori di una società delle libertà. Non pensa che l’ideale religioso possa essere presentato come sostituto degli ideali repubblicani, la cui trasformazione (1875) in ideologia laicista ne avrebbe svilito il valore di collante della nazione. Gli ideali repubblicani restano di attualità bruciante. La religione non è solo un fenomeno di culto, ma un elemento d’identità culturale. Un approccio che serve per identificare la comunità cattolica, ebraica, come quella mussulmana che non si può ridurre ai soli frequentatori di chiese, sinagoghe e moschee. Questo aiuta a comprendere un mondo più ampio di quello legato alla definizione laica di arabo (esempio i 400 mila turcofoni o i mussulmani dell’Africa nera). Sarkozy distingue l’integrazione dall’assimilazione, dove quest’ultima chiede una rinuncia all’identità originaria per essere accettati nella comunità. «Il battesimo repubblicano non può essere messo sullo stesso piano del battesimo religioso».
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