mercoledì 4 luglio 2012

La Nato frena la rabbia di Erdogan


Con l’abbattimento del Phantom F4 turco da ricognizione, la crisi siriana ha scaraventato il governo di Erdogan sul selciato di una vera e pericolosissima crisi internazionale, spingendolo a trovare in fretta un accordo con i militari. Dal Golfo del Tonchino a Serajevo, la storia è piena di “incidenti” fatali per la pace internazionale. Speriamo di non aver assistito all’ennesimo della serie. Intanto gli stati membri della Nato ieri hanno condannato la Siria per l’abbattimento di un jet militare turco, definendolo «inaccettabile» e chiedendo a Damasco di prendere accorgimenti per prevenire ulteriori incidenti. Ma al di là delle frasi di rito, non si parla di intervento a difesa di uno stato membro dell’Alleanza. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha spiegato che l’articolo 5 della Nato, che chiede agli stati membri di considerare l’attacco a un paese come l’attacco a tutti i membri dell’alleanza, non è stato discusso. «Siamo con la Turchia in spirito di solidarietà», ha aggiunto. Bocce ferme per il momento dunque. E torniamo a Erdogan che si sentiva sugli allori di una fama, conquistata presso le folle mediorientali sull’onda della vicenda Mavi Marmara, e sul successo di una politica estera «zero problems, maximum trade» che ne faceva il modello vincente grazie anche a gli ingenti investimenti fatti lungo tutta la corniche meridionale del Mediterraneo, non ultima la Libia. Mettendo la Turchia in competizione con le ultime velleità postcoloniali di qualche paese europeo, e in sintonia col change politico in atto in molte società arabe. L’asse sotterraneo Akp-Fratelli musulmani ha prodotto dei risultati, Erdogan però patisce ancora per molte insicurezze in politica estera. Ma i problemi del premier musulmano di Ankara si sono rivelati più interni che legati ai rapporti esterni, ad esempio con Israele, verso cui nonostante le forti tensioni politiche con il governo Netanyahu, prevale un atteggiamento di non ostilità. Lo scontro frontale con le forze armate messe sotto lo schiaffo della magistratura con l’affaire Ergenekon e con il filone Bayoz (Sladgehammer) – quella che i media locali amano chiamare la Gladio turca ma che è ben altra cosa – sta volgendo al termine. Al premier turco servono i militari per affrontare i difficili frangenti della crisi siriana e non solo.

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