mercoledì 19 settembre 2007
Glucksmann e i cattivi maestri
Nell’interessante querelle sui cattivi maestri - è lecito, utile e auspicabile dialogare con gli intellettuali islamisti? - mancava alla lunga lista di nomi già intervenuti nel confronto delle idee, André Glucksmann (Corsera 19/09/07). Uno dei pochi intellettuali francesi scesi in campo a difendere prima Benedetto XVI a Ratisbona, poi il povero Redeker. Il contributo è stato fondamentale nel sistematizzare e dare le casacche alle squadre in campo. Le posizioni occidentali hanno delle differenze non da poco. In pratica per Glucksmann, i combattenti in campo occidentale si dividono in volterriani, come la Ayaan Hirsi Ali – l’olandese di origine somala riparata negli Usa - che esprimono un orgoglio laico con un grado d’intolleranza pari a quello dei musulmani radicali. Per questa corrente di pensiero ogni religione è nemica della modernità. In Francia il nostro annovera Pascal Bruckner in questo team. Poi ci sono gli intellettuali di tradizione anglosassone (Ian Buruma e Timothy Garston Ash) che forse non ritengono i «fondamentalisti dei Lumi» in grado di volgere al bene il confronto. È «muro contro muro», rispetto ad una visione dell’uomo integralista, da entrambe le parti, parrebbe. Questa cultura legata alla Glorius Revolution, che riuscì a cambiare la società dell'epoca, senza le violente derive giacobine, non ha mai posto Dio fuori dalla storia e non ha mai legato la modernità all’affrancamento dalla religione. Il modello integrazionista multiculturale inglese – oggi in crisi – è cosa assai diversa dalla tipologia francese che già dai «Conseil francais du culte musulman», creati da Sarkozy, puntava al modello di «cittadinanza credente». «C’est un place dans la République» quello riservato all’islam, secondo il nuovo Presidente, convinto che la cultura islamica potesse semplicemente essere rimetabolizzata in salsa «republicain». Bene, per Glucksmann l’approccio anglosassone porta sulla falsa pista dello scontro di civiltà. Per il filosofo francese, l’agnosticismo e il modello volterriano di laicità anticomunitarista – quest’ultimo punto dolentissimo per la tenuta della République – funziona ancora egregiamente. In Francia forse potrebbe ancora essere utile, aggiungiamo noi, se non fosse il rovescio della medaglia dell’integralismo religioso. Perché il confronto è fra due modelli antropologici differenti. In prospettiva, alla polis greca si vorrebbe sostituire la madina islamica. Dove ci sembra che Glucksmann colga lo spirito dei tempi, è nella valutazione del fenomeno terrorista, «quando un uomo che si fa esplodere in mezzo alla folla, si tratta di criminalità umana, troppo umana»; e nel giudizio su di una classe d’intellettuali, «anime belle», con il loro indefferentismo etico «troppo inumano». In ballo non ci sarebbe uno scontro fra culture o civiltà, ma la guerra fra «libertà e schiavitù».
venerdì 7 settembre 2007
Ramadan e la miopia dell'Europa
«Nessun dialogo con i cattivi maestri», sono le parole di Marc Augé, l’etnologo dei «Nonluoghi», che sottolinea l’impossibilità di dialogare con personaggi alla Tariq Ramadan. Non è sorpreso che gli Usa abbiano incluso Ramadan nella lista degli indesiderati e non trova contraddizioni nel fatto che Time l’abbia inserito nell’elenco dei cento intellettuali più influenti al mondo. Spesso l’influenza non è un parametro di merito sufficiente per definire la bontà delle idee e di chi le propugna. C’è quindi chi prende una posizione netta contro certi «pontieri» del dialogo fra Occidente e Islam. Sarà la provenienza francese di Augé, il fatto che senta più di altri il rumore del fiume carsico dell’antisemitismo, che scorre nelle viscere dell’Europa e della Francia in particolare, a rendere il giudizio dell’etnologo meno indulgente verso le ambiguità e le attitudini «missionaristiche» di alcuni intellettuali. La querelle sul potere della lobby ebraica nel mondo, negli Usa e in Francia – con particolare attenzione ai media – è solo un modo per dire alle minoranze ebraiche: piegatevi, quando vi si grida in faccia l’intenzione di annientarvi, non dovete reagire, ma subire supinamente, in silenzio. Una tecnica che spesso viene usata anche contro la Chiesa cattolica.
Manca la «buona fede». Questo è il punto nodale. Augè vede nel tentativo di dare una risposta religiosa ai problemi sociali la strategia infida dell’islamismo. Centra il problema, ma non del tutto. È vero che le banlieu si sono incendiate sulla base in parte di problemi sociali, in parte – forse preponderante – di problemi culturali. Il senso di riconoscimento, l’identità pubblica dei gruppi etnici che si trovano in mezzo al guado. Non sono più e non sono ancora. Non più cittadini dei paesi d’origine, non ancora citoyen della nuova Francia. Sarkozy «non crede ad una concezione settaria o indifferente della laicità, né ad una collocazione della religione in concorrenza con la repubblica» come è descritto nel capitolo «La grandeur di Allah e la ricetta Sarkozy» del libro «La difesa dell’Occidente» di Pierre Chiartano (ed. Liberal con prefazione di Renzo Foa). Ciò che terrorizza il politici transalpini è il comunitarismo islamico che rischia di far crollare le fondamenta dello Stato, con l’uscita di richieste e bisogni della comunità islamica dal circuito istituzionale e sociale. Il radicalismo è la scorciatoia per riempire le teste di una gioventù allo sbando. Non solo, ma l’Europa dovrà riformulare in fretta i codici della proposta culturale, oggi tutta sbilanciata verso un laicismo privo di appeal, non solo per i musulmani. Nello scontro culturale è come se l’Europa continuasse a brandeggiare un’arma scarica, pur avendone a disposizioni molte altre. Dall’altra parte, l’Islam per quasi due secoli ha subito una marginalizzazione, a causa di una cultura importata, che dall’Egitto alla Mesopotamia, trovò poi in Turchia il massimo compimento nel kemalismo. La formula di Ataturk legava la modernità al rifiuto della religione. Oggi quel modello è nell’angolo, è arrugginito. L’Islam guarda all’Europa con grande sufficienza, non ci considera interlocutori all’altezza. Ecco come in un altro capitolo del libro «La difesa dell’Occidente» (Ratisbona ultimo ridotto d’Occidente) viene analizzato il problema.
«L’islam ci guarda con diffidenza, perché? La risposta apparsa sulle colonne del Corriere della Sera (settembre 2006), con le parole del Santo Padre, ricalca la vecchia critica alle società secolarizzate. Il loro conseguente rapporto ambiguo con il concetto di male. Ideologia scientista e cattiva declinazione del verbo della ragione hanno prodotto due effetti devastanti, in Europa come nelle società islamiche che anno subito il nazionalismo di stampo social-baahtista o kemalista. Primo la marginalizzazione dell’individuo in ossequio all’idea, la legge, la sovrastruttura. Secondo, la falsificazione del concetto di verità e di bene. Si è relativizzata la funzione fra individuo e male, deresponsabilizzando il primo si è annullato il secondo o viceversa. I processi di identificazione e riconoscimento delle persone sono stati spostati su concetti terreni. Si è sublimato il fango della razza, della classe o della nazione, ci si è dimenticati della grazia della verità. Fango e grazia sono le componenti dell’uomo e il libero arbitrio è ciò che fa prevalere l’una sull’altro, in una battaglia quotidiana. Dimenticarlo significa perdere l’uomo, che sia cristiano o musulmano» (pg. 190).
È questo un esempio della nuova cifra culturale che l’Europa dovrebbe acquisire per avere speranze di vincere il confronto con i «cattivi maestri». Non è una risposta che deroga alla ragione o al pensiero laico. Non vuol essere un subappalto ideologico alla religione d’Occidente, ma solo l’umile constatazione del cambio dei tempi.
giovedì 6 settembre 2007
RECENSIONE SU INFORMAZIONI DELLA DIFESA. «Efficace, anche per chi non "mastica" la materia»
Sul numero 3/07 della prestigiosa rivista edita dal Ministero della Difesa - viene distribuita in tutte le sedi diplomatiche nel mondo - è uscita la rencensione al libro «La difesa dell'Occidente» (Ed. Liberal con prefazione di Renzo Foa). Al momento non è ancora disponibile la versione on-line della pubblicazione.
Pierre Chiartano ha fatto un viaggio intorno al mondo, spinto dalla «ricerca della verità». Lo ha fatto a bordo di un nuovo mezzo di locomozione: la cultura. Ha lasciato i suoi pensieri in questo saggio, «La difesa dell’Occidente» dove, partendo da una fatidica data, l’11 settembre 2001 – data cui si può attribuire la coniazione del termine «asimmetrico» nel campo dei moderni conflitti – descrive le impressioni e le deduzioni che ha colto visitando l’Europa, l’America, la Cina, il Medio Oriente, Israele, Libano e Afghanistan. Ha guardato in modo laico le posizioni religiose, analizzato da punti di vista alternativi la situazione italiana, nei rapporti con il contesto internazionale di cui, ormai, non si può fare a meno di condividerne i destini.
Ecco che il «mezzo» con cui l’Autore si muove, la cultura, può essere la chiave d’interpretazione del nuovo scenario e può aiutare il lettore ad entrare nei meccanismi, a volte ostici, delle relazioni internazionali, degli equilibri della globalizzazione, e capire che non è sempre vero che le potenze occidentali, con il loro sviluppo tecnologico, siano vincenti contro i sistemi antiquati e imprevedibili dei terroristi e che alleanze subdole possono diventare pedine di un gioco tendente al balance of power. Lo fa con particolare attenzione descrivendo fatti, analizzando situazioni, usando un linguaggio, in forma giornalistica, efficace anche per chi non «mastica» la materia. Se ha torvato la verità alla fine del libro lo stabilirà il Lettore, a me personalmente è piaciuto leggere che, « per uscire dalla sopravvivenza, per costruire una coscienza morale e civica forte, per vivere da uomini...» basta che ognuno, ad ogni livello, faccia il proprio dovere « semplicemente ed umilmente».
link http://www.difesa.it/backoffice/upload/allegati/2007/{B48F46D4-7015-4B64-849E-31F5DB634A5D}.pdf
Ten. Col. Valter Cassar
martedì 4 settembre 2007
L'Occidente dei «pontieri» senza fiume
Tariq Ramadan continua a scatenare polemiche e discussioni. Da ultimi, Paul Bermann (TheNew Republic) e Ian Buruma lo incasellano nella categoria dei personaggi di cultura con cui è bene dialogare. Bermann afferma, tra l’altro, che «dialogare con qualcuno non significa sdraiarsi ai suoi piedi» e Buruma sostiene un fatto ineccepibile, «se oggi ti confronti solo con i laici, non ti confronti con nessuno». Bene, partendo da queste due affermazioni, proviamo ad andare avanti, raccogliendo l’invito dei due esperti. È vero come afferma Buruma che il grande errore dell’Occidente, soprattutto europeo, è quello di continuare a non prendere in considerazione che le bandiere del laicismo – sotto quasi tutte le latitudini – non garriscono più, a causa del vento di scirocco che viene dall’Islam, ma non solo. Pierre Chiartano nel suo «La difesa dell’Occidente» (Ed. Liberal – prefazione di Renzo Foa) spiega, in quasi 300 pagine, come il pendolo della storia abbia girato ancora, come fu al tempo della pace di Westfalia – in senso opposto. È un problema antropologico, di visione dell’uomo che si scontra con la realtà. «In Occidente, come in Oriente è la dimensione trascendente dell’uomo che ha ripreso le redini dell’identità, trascinando una nuova cultura che ha i suoi linguaggi». Pretendere di dialogare con l’Islam usando la vecchia grammatica laicista, che legge l’uomo monodimensionale (solo ragione), è il più grande errore che l’Occidente non può permettersi di fare. Detto questo, però il rischio di fare una frittata, girando la pentola troppo in fretta, è reale. La cultura laicista – Buruma non vi appartiene, perché aveva da anni percepito l’importanza della «polvere di Dio» - potrebbe farsi vincere dai sensi di colpa ed aprire, sì al nuovo dialogo, ma con gli interlocutori sbagliati. Chi scrive ha avuto l’occasione di ascoltare e osservare Tariq Ramadan dal vivo. L’effetto ambiguità che aveva suscitato la lettura dei suoi scritti era, se possibile, aumentato. Riportiamo di seguito un brano che si può leggere integralmente su (http://difesadelloccidente.blogspot.com/2007/05/la-sala-rossa-della-fiera-del-libro-di.html). L’intervento di Ramadan avviene dopo che un’altro relatore ha descritto gli uomini «neri» dell’MI-6 (controspionaggio inglese) nel loro ambiguo rapporto con il terrorismo islamico.
«Ecco, dopo questa preparazione psicologica della platea, si materializza lui, Tariq Ramadan. Appena sceso dalla scaletta di un volo Alitalia, atterrato in ritardo, non manca di sottolineare il nostro. Poi parte la requisitoria in forma assai intelligente, perché entra nella dimensione dell’analisi pragmatica. Prima dimensione: rapporti fra politica e intelligence e fra questa e i gruppi terroristi. La seconda riguarda la religione e la sua capacità di costruire un’identità individuale e pubblica. Qua il messaggio è per le istituzioni politiche europee. La terza dimensione riguarda la ricerca di una sintesi per trovare soluzioni concrete. Punto su cui è difficile non essere d’accordo. Dove Ramadan tocca le corde emotive di molti e quando richiama i valori della democrazia. “La democrazia è anche una responsabilità, non è sempre un diritto”, gli applausi “scappano di mano”, come si dice. Peccato che tanto fervore democratico, e tanta sincera passione intellettuale – che va riconosciuta – sia messa al servizio di un messaggio che definire ambiguo è un eufemismo. È il duo Ahmed-Ramadan ha creare perplessità. I sensi di colpa scatenati dal primo servono all’introduzione del dubbio che la democrazia sia malata come meccanismo politico che viene inoculato dal secondo. Quando l’Occidente comincerà a capire che in ballo c’è la propria sopravvivenza?».
Il tema – eravamo alla Fiera del libro di Torino del maggio scorso - era legato ai confini, quindi i «pontieri» potevano essere protagonisti di quella kermesse culturale davvero interessante. Pierluigi Battista, sul Corriere di oggi, parla di «paradigma Gentile» ed espone ragioni condivisibili per essere prudenti nel dialogo con certi «pontieri». Invita a «stanare» l’elusivo e inafferrabile Ramadan. Il problema è che, sotto ogni punto di vista lo si voglia guardare, l’approccio di Ramadan al dialogo è monodirezionale: sono aperto al dialogo con un’Europa che, prima o poi, sarà dominata dalla cultura islamica. È vostro interesse mantenere i canali aperti, se non volete soccombere. Un modello assai simile a quello messo in atto dopo l’occupazione moresca dell’Andalusia. Il ponte c’è e anche il custode del ponte, pronto a dialogare con chi decide di attraversarlo. Solo che è a «senso unico», verso l’Islam. Sarebbe meglio parlare di strada, un sentiero verso l’annullamento dell’identità europea e occidentale. Il fiume non c’è, l’ostacolo è solo da una parte, la nostra.
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