venerdì 7 ottobre 2011

UNA TREGUA IN DIVISA Erdogan e i militari, un rapporto in evoluzione


«Se Erdogan avesse fatto prima un discorso come quello del Cairo di qualche giorno fa, non penso ci sarebbero mai stati problemi con i militari», la frase semplice, chiara, spiega bene i sentimenti dei turchi in divisa nei confronti del premier, primo leader di un partito islamico moderato a governare la patria che fu di Kemal Ataturk, padre di uno Stato che definire laico sarebbe riduttivo. È stata pronunciata da un rappresentante influente della classe dirigente militare e che oggi insegna all’Università di Galatasaray, ma che per ovvie ragioni non vuole essere citato. Liberal lo ha incontrato in una Istanbul di settembre, alla fine del trionfale tour del premier turco fatto nei Paesi della Primavera araba. In una città dove puoi toccare con mano il salto in avanti che la società turca sta facendo, spinta dallo sviluppo economico e dalla voglia di diventare un Paese “normale”. Soprattutto che vuole scrollarsi dalle spalle, con la brezza che spira dal Mare di Marmara, la polvere di un confronto tra secolarismo e religione. I turchi hanno le capacità culturali per farlo. Le incomprensioni tra l’Akp, primo partito a ispirazione islamica al governo e i guardiani dell’ortodossia laica con le stellette, vengono da lontano. Come molti movimenti in Europa il kemalismo aveva messo Dio fuori dalla storia e deciso che modernità e religione fossero incompatibili. Qui nascono le diffidenze, i sospetti, anche l’ostilità che ha portato nel tempo a uno scontro istituzionale forte tra governo e forze armate, condotto sempre sul filo del confronto legittimo, ma con molti sconfinamenti nell’autoritarismo e tre colpi di Stato. In un clima sempre pronto a degenerare in qualcosa di più serio. E l’allontanamento della Turchia dal percorso verso l’Europa (non sempre per colpa di Ankara) non ha reso più facile il dialogo. Oggi dopo lo scandalo Ergenekon – un piano per rovesciare il governo dell’Akp tra il 2003 e il 2004 – e la sua continuazione Sladgehammer (Balyoz in turco), sembra che gli anticorpi democratici che evidentemente erano latenti nel sistema politico turco stiano prendendo il sopravvento. Il governo di Ankara può aver usato strumentalmente accuse e inchieste contro gli uomini in divisa, ma qualcosa di fondo c’era e molte delle informazioni pubblicate da giornalisti investigativi come i colleghi di Taraf venivano dall’interno delle Forze armate turche. Oggi col protagonismo internazionale di Ankara, Erdogan sente la necessità di aver l’appoggio dei militari, in modo specifico della Marina per sostanziare la propria politica estera. Dall’affaire Mavi Marmara, in cui persero la vita nove cittadini turchi a causa dell’abbordaggio delle teste di cuoio israeliane, dove il premier turco ha promesso l’intervento delle fregate di Ankara come scorta di una nuova missione umanitaria a Gaza, alla vicenda delle trivellazioni petrolifere a largo di Cipro, dove è stato promesso che la marina militare di Ankara avrebbe difeso gli interessi turchi, sono ormai troppi i settori in cui il governo dell’Akp ha bisogno del sostegno di chi fino a poco tempo fa era visto quanto meno con sospetto. Tanto sta cambiando nella nuova Turchia, il previsto ritiro strategico dell’America dal Medioriente e dal Mediterraneo meridionale sta prendo nuovi spazi alla politica neo-ottomana di Erdogan, ma con gli onori del ruolo di nuovo paese leader di una regione così importante arrivano anche gli oneri: più stabilità politica interna, maggior equilibrio nell’azione esterna. Una lezione che passo dopo passo, non senza alcuni errori la nuova Turchia democratica sembra voler imparare. (clicca su immagine per completare la lettura dell'articolo)

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