giovedì 11 ottobre 2007
Che dicono i «volteriani»?
Ernst-Wolgang Bokenforde è il padre di un paradosso. È tedesco ed è figlio della Germania postbellica, dove si è cercato in ogni modo di costruire un’architettura dello Stato che non avesse i difetti e le fragilità della repubblica di Weimar. Si è cercato in un modello di Stato che viene chiamato «liberale» - ma che è frutto di una certa ideologia continentalista- il soggetto garante di un’alleanza fra «Trono» e «Chiesa». Secondo la corrente dei difensori del laicismo europeo, convenuti in un’interessante incontro al Centro studi americani e coordinato dal direttore di Reset, Giancarlo Bosetti – promotore della messa all’indice di Magdi Allam - non siamo in una società post-secolare, ma pre-secolare. Se qualcuno avesse avuto dubbi circa il futuro dell’oltranzismo laicista, avrebbe potuto toccare con mano teorie e teoremi sull’astrazione di un certo mondo accademico dalla realtà. Intendiamoci, molto sono state le analisi di grande interesse, per prima quella del protagonista che ha proposto un modello di laicità aperta (quella tedesca) in contrapposizione ad una versione chiusa (quella francese pre-Sarkozy, aggiungiamo noi). Tesi interessante perchè apre un dialogo sui modelli continentalisti rispetto a quello angloamericano – peraltro sviscerato dall’intervento di Emilio Gentile. «America religiosa vs Europa secolare», un’altro paradosso dove i nipoti dei padri pellegrini sarebbero più laici in quanto più religiosi. In effetti il 90 per cento degli americani si dichiarano credenti e sulle stesse percentuali voterebbero per un candidato alla Casa Bianca cristiano, ebreo o musulmano, ma solo il 15 per cento lo farebbe per un presidente ateo. E si «riciccia» la storia della religione civile o «deismo cerimoniale». Insomma tutta una serie di disquisizioni che dimenticano che l’invenzione – se così possiamo definirla – della separazione fra Stato e Chiesa nasce dalle parole di Gesù: «date a Cesare quel che è di Cesare...». Vabbé, ma non possiamo stare a sottilizzare. Comunque non si è capito dove sia il confine che, all’interno dello spazio pubblico, delimita l’area fra determinazione culturale e determinazione politica. Quale è il discrimine fra il riconoscimento delle differenze culturali, come componenti di una società plurale ed il loro effetto politico che ne modificherebbe la natura. Facciamo un esempio. In Turchia, nelle Università, è proibito portare il velo tradizionale. Allora molti ragazzi utilizzano varie forme d’abbigliamento per far capire che sono credenti. Vogliono occupare lo spazio pubblico, come determinazione culturale, ma soprattutto come azione «politica» che può portare a modifiche delle leggi dello Stato. I difensori dello Stato neutrale, del recinto all’interno del quale ognuno può liberamente professare la sua fede o non fede, mancano di confrontarsi con questa realtà. Teorizzano, in astratto, la giustezza di una democrazia procedurale e guardano con sospetto alla proposta di Bokenforde, che almeno ha il merito di aprire una porta all’importanza della «tradizione» rispetto ai modelli politici. Qualcuno ha anche riproposto la visione risorgimentale del conflitto fra Stato liberale e Chiesa... Mah! È come parlare di «habeas corpus» e del diritto di Giustiniano, in linea di principio è corretto, ma chiama qualche sbadiglio. Comunque a Colonia, che ha una comunità islamica di mezzo milione di persone, hanno trovato la soluzione. I due minareti di quella che sarà una delle più grande moschee d’Europa dovranno avere un’altezza adeguatamente più bassa (55 metri) delle guglie gotiche del Duomo.
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